Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Admin (del 09/09/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2212 volte)
{autore=anonimo}



SCENA ROMANTICA
OLIO SU TELA
73 x 60 cm

Anonimo prima metà del sec. XIX

L'opera, di ottima fattura, non è firmata. Il dipinto è vestito con una bella cornice in oro zecchino a tema, decorata con cuoricini ai quattro angoli.
 
Di Admin (del 15/09/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 3945 volte)
{autore=anonimo}
In occasione del giorno della celebrazione della Madonna Addolorata, proponiamo:



MADONNA ADDOLORATA
OLIO SU TELA
53 x 46 cm

Anonimo napoletano del sec. XVIII

La Madonna, è venerata nel mondo cristiano con un culto di iperdulia, che si estrinseca in vari titoli, quanti le sono stati attribuiti nei millenni per le sue virtù, il suo patrocinio, la sua posizione di creatura prediletta da Dio, per il posto primario occupato nel piano della Redenzione, per la sua continua presenza accanto all’uomo evidenziata anche dalle tante apparizioni. Fra i tanti titoli e celebrazioni, il più sentito perché più vicino alla realtà umana, è quello di Beata Vergine Maria Addolorata; il dolore è presente nella nostra vita sin dalla nascita, con il primo angosciato grido del neonato. Veder morire un figlio è per una madre il dolore più grande che ci sia, non vi sono parole che possano consolare. Il dolore provato da Maria fu l’epilogo di un lungo soffrire, in silenzio e senza sfogo, conservato nel suo cuore.
La Vergine Addolorata è stata raffigurata lungo i secoli in tante espressioni dell’arte, specie pittura e scultura, frutto dell’opera dei più grandi artisti che secondo il proprio estro, hanno voluto esprimere in primo luogo la grande sofferenza di Maria. La vergine Addolorata è di solito vestita di nero per la perdita del Figlio, con una spada o con sette spade che le trafiggono il cuore.
Nel Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Isernia), secondo l’apparizione del 1888, Gesù è adagiato a terra e Maria sta in ginocchio accanto a lui e con le braccia aperte lo piange e lo offre nello stesso tempo.
In virtù del culto così diffuso all’Addolorata, ogni città e ogni paese ha una chiesa o cappella a lei dedicata; varie Confraternite assistenziali e penitenziali, come pure numerose Congregazioni religiose femminili e alcune maschili, sono poste sotto il nome dell’Addolorata, specie se collegate all’antico Ordine dei Servi di Maria.
Il nome Addolorata ebbe larga diffusione nell’Italia Meridionale, ma per l’evidente significato, ora c’è la tendenza a sostituirlo con il suo derivato spagnolo Dolores. (da un articolo di A. Borrelli su www.santiebeati.it)
 
{autore=scognamiglio annibale}
Con questo articolo proponiamo una coppia di ritratti eseguiti dal pittore Annibale Scognamiglio, attivo a Napoli nel sec. XIX:



ANNIBALE SCOGNAMIGLIO  "AL SIGNORE CIRO NALDI" OLIO SU TELA  87 x 66 cm del 1861

L'opera è firmata e datata in basso a sinistra "Annibale Scognamiglio fece 1861". Al centro in basso, il soggetto mostra nella mano sinistra una missiva sulla quale chiaramente si legge "Al Signore Sig. D. Ciro Naldi Napoli per Portici". La bella cornice è coeva.
... Ora il ritratto della signora:



ANNIBALE SCOGNAMIGLIO "LA SIGNORA NALDI" OLIO SU TELA  86 x 66 cm del 1865

L'opera è firmata e datata in stampatello in alto a sinistra "Annibale Scognamiglio fece 1865". Di alta qualità è il dipinto in cui spiccano i bellissimi gioielli e il colore blu intenso dell'abito della signora. Anche questa cornice è coeva.

ANNIBALE SCOGNAMIGLIO   (attivo a Napoli ed Alessandria d’Egitto nella seconda metà del XIX secolo)

Annibale Scognamiglio è un pittore napoletano che è andato a cercare fortuna in Egitto. Alcuni suoi dipinti con soggetti di scene arabe, che mostrano il suo vivo interesse per la vita dei beduini e le immagini romantiche dei guerrieri musulmani, e alcuni ritratti furono acquistati dal collezionista Friedmann e successivamente donati alla città di Alessandria nei primi anni del ventesimo secolo.

In Medio Oriente divenne famoso e fu punto di riferimento per diversi giovani pittori, tra cui il greco Konstantinos Parthenis, autore a diciotto anni del noto ritratto di Georgios Averoff. Molto probabilmente fu proprio il maestro Annibale Scognamiglio a spingere perché il giovane artista greco eseguisse il dipinto.

Tornato in Italia intraprese un’intensa attività di ritrattista e restauratore. Sua è l’immagine della Madonna dipinta su lastra di lavagna nel 1908 sul portale del Santuario della SS. Vergine Incoronata della Sanità a Castellammare di Stabia. Nello stesso anno, restaurò sempre per il santuario il quadro che domina l’altare raffigurante il Cristo risorto nell’atto di mostrare all’incredulo San Tommaso i segni della passione.

Sue opere sono in diverse collezioni sia pubbliche che private e presenti in importanti case d’asta internazionali.

 
Di Admin (del 12/10/2011 @ 12:36:52, in Arte News, linkato 4773 volte)
{autore=galante francesco}

francesco-galante-napoli

L'opera è firmata in basso a destra: "F. Galante". Firma, titolo, anno a tergo.

[…] Figura anch’essa legata alla tradizione, con un profilo più autonomo e controllato, attento al volgere dei tempi, ma fedele ad un modo tutto suo d'intendere la pittura, è Francesco Galante (1884-1972), artista acuto nella rappresentazione delle pulsioni d’una società borghese, di cui egli ha saputo accarezzare compiacente le piccole manie e le ambiguità talvolta sottili, talvolta struggenti. Negli Interni riesce più convincente, poiché ci restituisce uno «spaccato» di questa borghesia acquiescente, di queste signore che vivono l’atmosfera ovattata e rassicurante dei propri appartamenti coi balconi aperti sul golfo, ma anche con qualche angolo oscuro. E così nei ritratti; ove non s’adagia alla riproduzione del «tipo», ma cerca di scandagliare nella psicologia del personaggio. Il pittore della discrezione, potrebbe essere definito o del «grigio», come lascia evocare facilmente il titolo stesso d’un suo dipinto di veduta del porto di Napoli: “Grigio su Napoli” della collezione Morelli.
(Rosario Pinto da “La Pittura NapoletanaLiguori Editore, 1998 )


francesco-galante-pausa

L'opera è firmata e datata in basso a destra: "F. Galante 964". Firma, titolo, anno a tergo.

FRANCESCO GALANTE (Margherita di Savoia, Foggia, 1884 - Napoli 1972). Dopo aver appreso i rudimenti del disegno alla scuola elementare di Margherita di Savoia, Francesco Galante si trasferì nel 1896 a Napoli. Si iscrisse all'istituto di Belle Arti dove ottenne tra il 1899 e il 1904 numerosi riconoscimenti. Nel 1904, conclusi gli studi, si trasferì a Milano dove collaborò con le case editrici Sonzogno e Treves e con la rivista "Varietas" per la realizzazione di illustrazioni. Dopo circa un anno si trasferì a Roma e poi a Napoli dove divenne caricaturista presso il giornale umoristico “6 e 22” e parallelamente iniziò a dedicarsi alla pittura, realizzando in particolare paesaggi e ritratti in cui iniziò a sperimentare la sua particolare ricerca sul colore, dal gusto impressionista. Da allora Galante iniziò a esporre in tutte le più importanti mostre tra cui tutte le Sindacali napoletane (tranne quella del 1930) le mostre della Promotrice (1904, 1911, 1912, 1915-16, 1920-21) e le Biennali di Venezia (1910, 1912, 1914, 1920 e 1922). Tra i soggetti preferiti fin dai primi tempi ci sono interni e soprattutto ritratti di persone care come “Attrazione” (1914. Napoli. Circolo Artistico Politecnico), “Riposo” (Comune di Napoli, acquistato alla Promotrice. del 1915). Dal 1914 al 1957 insegnò nell'Istituto di Belle Arti di Napoli, prima Figura e, poi, Arti grafiche. Con la fine degli anni Venti si assiste nella poetica di Galante a una svolta novecentista caratterizzata da un maggiore realismo e da una produzione più delicata e intimista. Al centro della sua ricerca si pose l'ambiente domestico indagato in tutte le sue declinazioni, sia come simbolo della tranquillità dei personaggi della Napoli borghese, sia come espressione schietta degli affetti familiari. […] A partire dagli anni Trenta lo stile di Galante si fa più solido, scompare la caratteristica pennellata sfrangiata degli anni precedenti, e si assiste a un abbassamento delle gamme cromatiche, insieme a una nuova plasticità delle figure. Nel dopoguerra Galante recuperò lo stile delle sue opere giovanili insieme a tinte più chiare. Nel 1953 decorò il soffitto del teatrino di corte del Palazzo Reale con “Le nozze di Anfitrite e Posidone”, nel 1955 tenne una personale presso la Galleria Mediterranea e nel 1965 l'ultima presso il Circolo Artistico Politecnico.
(Elisa d’Agostino da “9cento. Napoli 1910 – 1980 per un museo in progress” Electa Napoli, 2010 )


francesco-galante-capo-miseno

L'opera è firmata in basso a destra: "F. Galante". Firma e titolo a tergo.

Dal 1896 al 1904 studia all’istituto di Belle Arti di Napoli, allievo di Volpe e Cammarano. All’attività di pittore accosta sin dall’inizio quella di illustratore (“Varietas”, 1907-08) e di insegnante (Istituto Statale d’Arte, 1914-57; Accademia, 1930-32). E presente alle maggiori manifestazioni artistiche napoletane (Promotrici Salvator Rosa), nazionali (Biennali veneziane, Torino, Roma, Milano) e internazionali (Parigi, Salon d’Automne, 1909; Santiago del Cile, 1910). Partito da esperienze di gusto impressionista e “nabis”, negli anni Trenta si accosta ai modi di Novecento.
(Novecento Italiano” 1998 – 1999. ed. De Agostini)




L'opera è firmata in basso a sinistra: "F. Galante".
 
Di Admin (del 21/10/2011 @ 14:00:01, in Arte News, linkato 2677 volte)
{autore=cangiullo francesco}



L'opera è firmata e datata in basso a sinistra: "F. Cangiullo. Cannes 56". A tergo il titolo. Opera esposta alla mostra personale "Addio mia bella Napoli" (1956) alla galleria Blu di Prussia.

Paolo Ricci sulla mostra: "Nel dicem­bre del 1956 Cangiullo organizzò, nella galleria napole­tana «Blu di Prussia», una mostra molto originale. Egli espose tavolette e libri in una bancarella, mescolando pitture e volumi alla rinfusa, dove, accanto a vecchie edizioni della sua opera letteraria, vi erano gli opuscoli e i volumi usciti di recente. La mostra era intitolata «Addio mia bella Napoli», come un suo volume edito da Vallec­chi; così, nel corso dell’esposizione, i frequentatori della galleria potevano pescare le opere di Cangiullo stampate nel giro di oltre 40 anni, insieme a cumuli di pitture, messe alla rinfusa, come una «merce». Con questa mostra Cangiullo compì un gesto dadaista, che fu l’ul­timo exploit della sua vita di «irregolare»".

Paolo Ricci così scrisse di Cangiullo sul quotidiano «Il Corriere di Napoli», il 29 maggio del 1937 in occasione della pubblicazione dei libri «Le vie della città» e «Paesi»: «Francesco Cangiullo è un curioso tipo di poeta: trasandato, con un piccolo cappello sulle ventitré, silenzioso, munito sempre di un piccolo bastoncino di bambù, come era abitudine, dei vecchi “guappi”, cammina sempre solo per le vie di Napoli, strizzando gli occhi come chi si difenda dai raggi del sole, osservando tutto quanto gli capiti di incontrare con l’acutezza di chi è obbligato a riferirlo a non so a chi... A vederlo così girovagare per la Pignasecca o per le altre vie affollate della Napoli borbonica, pare impossibile, inaudito immaginare un Cangiullo violentissimo pole­mista, raffinatissimo conoscitore dei movimenti d’avan­guardia di tutto il mondo, partecipante al più famoso e rumoroso gruppo avanguardista dell’anteguerra e del­l’immediato dopoguerra, creatore, insieme alla “caffeina d’Europa” (vogliamo dire Marinetti) del Futurismo ita­liano. È difficile individuare sotto le spoglie di questo piccolo borghese annotatore affettuoso delle caratteristi­che di colore napoletano l’amico di Apollinaire e di Valery, l’assaltatore dell’Università all’epoca dell’inter­ventismo ... il creatore delle lettere umanizzate e del Teatro della Sorpresa; il collaboratore di quel genio sfrenato ed insuperabile che era Ettore Petrolini ...al poeta sfavillante, parolibero, entusiasta, è succeduto lo scrittore maturo, attanagliato alla vita reale, ... da una coscienza umana che esclude qualsiasi forma di dilettan­tistimo ... Dopo aver letto questo libro ci si rende conto di aver letto la vita di un poeta».

Dopo la recensione, Cangiullo scrisse una lettera a Ricci che esprimeva la sua commozione. Tra l’altro affermava: «Io sto pagando da anni il lusso dell’arte mia con la mia spietata miseria; ma se tale arte trova tali ammiratori ..., io sono fiero e felice di pagarla talvolta col mancato pasto ai miei figli».

 
Di Admin (del 29/10/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 3042 volte)
{autore=placido errico}



L'opera è firmata e datata in basso a sinistra: "Placido Errico 1954".

Placido nacque a Napoli nel 1909, ma ha vissuto a Portici sin da bambino. Ha dipinto per circa mezzo secolo ed ebbe ad affermarsi sin dal 1938 alla Sindacale d'Arte di Napoli. Numerose sono le sue presenze nelle rassegne e personali in tutta Italia. Placido è morto a Portici nel 1983.
 
Errico Placido, il suo casato è in stridente contrasto con il suo temperamento di uomo e di Artista. Egli nella sua vita quasi sempre movimentata, quasi sempre incerta, che si è svolta e si svolge in un gioco di sensazioni e di emozioni, di entusiasmi e di avvilimenti, non ha fatto altro che il pittore, il pittore che vive con la pittura e della pittura.
Iniziò tanti anni fa con Luigi Crisconio a Portici. Era appena un adolescente, e seguì il maestro nelle sue faticose peregrinazioni per le campagne vesuviane e le spiagge del golfo di Napoli, con lunghe soste sotto il sole, alla ricerca del motivo. Ne ha consumate scarpe, in queste sue escursioni di apprendissage! Tornava a casa stanco, stordito ma contento di aver dipinto sotto la guida di Crisconio.
Era nato pittore. Crisconio, pur così rapido, così impetuoso nel dipingere, spesso rimaneva sorpreso dalla furia con cui il suo giovanissimo allievo e amico realizzava un paesaggio. Da quel tempo ad oggi, Errico Placido ha dipinto migliaia e migliaia di quadri, vagando da un capo all'altro d'Italia, non più a piedi ma in automobile.
(La macchina) mi disse un giorno, "mi è di grande vantaggio, mi scopre il paesaggio. Mentre corro a tutta velocità mi fermo di botto, apro la cassetta e mi metto a dipingere ".
Pittore di grande istintività, autodidatta, lavorando incessantemente tutti i giorni si è liberato di ogni influenza del maestro raggiungendo un suo stile, ritrovando un suo mondo poetico. Se risorgesse, anacronisticamente, la Repubblica di Portici (Scuola Resina), certo sarebbe il pittore Placido a spiccare quale protagonista. E non soltanto per i suoi meriti innegabili di artista del pennello ma per la singolarità estrosa del personaggio, che qualche decennio fa, quando non era uscito ancora dalla adolescenza, incantava gli spettatori in molti teatri d'Italia con gratuita esibizione di giochi di prestigio (fazzoletti, palline multicolori, che sparivano e riapparivano da una manica, in cappello, da una tasca del cappotto degli astanti, fiorivano dai punti più imprevisti, assecondando l'acrobatico movimento delle mani).
Anche questi effimeri prodigi preludevano, del resto, ai tanti doni naturali del futuro pittore, e, in particolare, a quella rapidità di esecuzione da "Luca fa presto", a quella sicurezza della composizione sempre equilibrata, a quella inesauribile libertà del concepire e sveltezza nell'eseguire, a quella continua vitalità dell'espressione, sempre idonea ai suoi fini e coerente alla qualità della visione. E questo, tanto che si tratti di una figura o di un paesaggio, di una marina o di un nudo: ogni cosa compiuta con una pennellata fremente ed intensa, che è sommaria soltanto all'apparenza.
La fragranza del colore e la briosità del segno si amalgamano in fluidità di sintesi soprattutto in certi assembramenti di figure del circo e, meglio ancora, in certe individuazioni di personaggi della scena: un pierrot lunare, un pagliaccio trasognato, un arlecchino beffardo e altri personaggi, che sono colti in atteggiamenti e moti istantanei o al fuoco della ribalta o al riparo delle quinte.
E' qui che il colore sprizza particolarmente vibrante e definitorio che si può scorgere in pieno lo scatto dell'originalità di Placido. E' allora che il segno si identifica con il colore e il gusto della sintesi si distacca dalla tradizione locale e il pittore si immerge in un contesto europeo, tra la schiera francese dei "Fauves" e quella degli espressionisti tedeschi del "ponte" (Die Brùcke). Ma il suo temperamento, sorretto da sensibilità e fantasia, si rivela ancora nelle composizioni di figure e di nudi sapientemente organizzati, in un paesaggio idilliaco, in una marina sconvolta dalle onde, in una natura morta intensamente cromatica, in un mazzo di fiori di trepida freschezza primaverile.
Qui i toni freddi e i toni caldi che si bilanciano in variazioni controllate da forza e sensibilità, diventano poetiche modulazioni di una fantasia che persegue sempre il miraggio di cogliere l'aspetto della natura, degli affetti, della memoria, in una similare evidenza di realtà e di sogno.
Il segno di Placido si identifica, allora, con il colore assimilandone l'essenza interiore. E' qui il segreto della sua appassionata gioia di vivere: una gioia che si riscontra così negli affetti umani come nello spettacolo dei fenomeni e delle stagioni.
Ricordo un giorno in cui ci incontrammo a Milano con il collega Marco Valsecchi e parlammo del temperamento artistico di Placido. Insieme convenimmo che se il nostro artista avesse avuto il coraggio di mettere da parte i sentimenti e l'amore per la sua Napoli, avrebbe certamente ricevuto consensi validissimi per la sua pittura, oltre confini
. Carlo Barbieri
 
Di Admin (del 09/11/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2543 volte)
{autore=godi goffredo}



L'opera è firmata e datata in basso a destra: "G. Godi 52 ".

Goffredo Godi è uno di quegli artisti italiani rimasti sulle rive del torrente che porta con sé la clamante folla dei pittori, degli scultori, dei critici, dei galleristi, degli affaristi che hanno nella mira la notorietà. È un appar­tato, felice Candide votato alla pittura. Le sue gioiose battaglie — nello studio o più spesso negli scenari naturali — non gli lasciano tempo da dedicare all’ingegneria del successo, alla quale è del resto mental­mente e persino fisicamente inadatto. Ma a Godi restano soltanto i quadri recenti. Dunque son quasi sessant’anni che la pittu­ra di questo schivo petit maitre (come lo definì Carlo Barbieri) è amata e ricercata da un piccola galassia di collezionisti, verso la quale Godi ha mantenuto affettuosa gra­titudine, perché è un uomo di sentimenti gentili, ma al tempo stesso soltanto scam­poli di memoria, preso com’è dal suo fare arte, che tra progetto ed esecuzione lo cat­tura senza scampo. Godi infatti non ha mai avuto il tempo e la voglia di curare un suo archivio e quel che conserva (cataloghi, foto­grafie, ritagli, nominativi, indirizzi) gli è stato messo da parte dal caso o dalle premu­re dei suoi familiari. Seppe per fortuita com­binazione che Sonia Delaunay nel ‘76 aveva elogiato i suoi paesaggi esposti nella galleria di Fiamma Vigo a Venezia. E mai avrebbe saputo che due maestri della critica d’arte del Novecento, Francesco Arcangeli e Roberto Longhi, avevano discusso d’un suo paesaggio da presentare alla Biennale se non glielo avessi rivelato io, che di quell’interes­se trovai traccia per caso (Carteggio Longhi-­Pallucchini, Edizioni Charta, Milano, 1999, pag. 326). “Quando le luci saranno spente e molti anni saranno trascorsi” - ripete Godi -“tutto l’odierno clamore sarà dimenticato. Resteranno solo i quadri. E chissà…”. […]
 
Di Admin (del 29/11/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2331 volte)
{autore=bacio terracina arturo}



L'opera è firmata in basso a sinistra: "A. Terracina ". Titolo e anno a tergo.

Bacio Terracina Arturo, nato a Napoli il 5 settembre 1882. Dagli studi classici, s'iscrisse all'Accademia di Belle Arti e si diplomò nel 1908, per poi trasferirsi a Roma, dove frequentò la Scuola Libera. Fu allievo prediletto di Michele Cammarano, che lo avviò allo studio del paesaggio, genere che non ha più abbandonato, quantunque avesse esordito con opere di figura, formatosi alla Scuola di Vincenzo Volpe.
 Fu attivissimo organizzatore di Mostre d' Arte specialmente quella detta dei "23" che ebbe gran successo a Napoli nel 1910 e che diede grande impulso alla vita artistica napoletana. Partecipò a moltissime Esposizioni nazionali e internazionali, e in quella stessa Mostra dei "23" il Ministero della P. I. acquistò una sua opera per la Galleria d'Arte moderna. Altre sue opere figurano nelle collezioni della Provincia, del Municipio e di altre Gallerie pubbliche e private.
 Nel 1908 prese parte all'esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma col quadro "Alle falde del Vesuvio" e alla Primaverile Fiorentina espose "Mattino azzurro" e "Raggi nel Castello".
 Ancora oggi espone con successo opere di paesaggio e accudisce scrupolosamente a commissioni private.



L'opera è firmata in basso a sinistra: "A. Terracina "
 
Di Admin (del 17/12/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 3678 volte)
{autore=verdecchia carlo}


Autore: CARLO VERDECCHIA (1905 - 1984)
Titolo: RIPOSO NEI CAMPI
Tecnica e superficie: OLIO SU TAVOLA
Dimensioni: 35 x 48,5 cm

L'opera è firmata Verdecchia in basso a destra, cartiglio "Premio Villa S. Giovanni" sul retro.

Carlo Verdecchia è nato ad Atri nel 1905 e morto a Napoli nel 1984.

Compiuti gli studi all'Accademia di Belle Arti di Napoli, iniziò fin dal 1927 la sua attività artistica, partecipando alle maggiori mostre nazionali ed internazionali (Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma, ecc). Ha insegnato all'Istituto d'Arte di Napoli. Sue opere si trovano nella pinacoteca del comune di Pescara, Galleria comunale di Teramo ed in altre pinacoteche pubbliche e private. È il pittore delle stalle, delle mucche al pascolo, dei contadini e dei carrettieri d'Abruzzo, colti sulle grandi strade maestre, fra i monti e il mare. Una rappresentazione realizzata con un sicuro impianto disegnativi, un robusto impasto cromatico, una capacità di sintesi che costituiscono le doti più proprie di Verdecchia, al quale va riconosciuto il merito di essersi costruito una propria identità ed un proprio linguaggio. (Novecento Italiano, De Agostini Ed.)

 

 
Di Admin (del 29/12/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 7935 volte)
 
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