{autore=godi goffredo}
L'opera è firmata e datata in basso a destra: "
G. Godi 52 ".
Goffredo Godi è uno di quegli
artisti italiani rimasti sulle rive del torrente che porta con sé la clamante folla dei pittori, degli scultori, dei critici, dei galleristi, degli affaristi che hanno nella mira la notorietà. È un appartato, felice Candide votato alla pittura. Le sue gioiose battaglie — nello studio o più spesso negli scenari naturali — non gli lasciano tempo da dedicare all’ingegneria del successo, alla quale è del resto mentalmente e persino fisicamente inadatto. Ma a Godi restano soltanto i quadri recenti. Dunque son quasi sessant’anni che la pittura di questo schivo petit maitre (come lo definì Carlo Barbieri) è amata e ricercata da un piccola galassia di collezionisti, verso la quale Godi ha mantenuto affettuosa gratitudine, perché è un uomo di sentimenti gentili, ma al tempo stesso soltanto scampoli di memoria, preso com’è dal suo fare arte, che tra progetto ed esecuzione lo cattura senza scampo. Godi infatti non ha mai avuto il tempo e la voglia di curare un suo archivio e quel che conserva (cataloghi, fotografie, ritagli, nominativi, indirizzi) gli è stato messo da parte dal caso o dalle premure dei suoi familiari. Seppe per fortuita combinazione che Sonia Delaunay nel ‘76 aveva elogiato i suoi paesaggi esposti nella galleria di Fiamma Vigo a Venezia. E mai avrebbe saputo che due maestri della critica d’arte del Novecento, Francesco Arcangeli e Roberto Longhi, avevano discusso d’un suo paesaggio da presentare alla Biennale se non glielo avessi rivelato io, che di quell’interesse trovai traccia per caso (Carteggio Longhi-Pallucchini, Edizioni Charta, Milano, 1999, pag. 326). “Quando le luci saranno spente e molti anni saranno trascorsi” - ripete Godi -“tutto l’odierno clamore sarà dimenticato. Resteranno solo i quadri. E chissà…”. […]