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Autore:

CRISCONIO LUIGI

N - M:

Napoli, 1893 – Portici, 1946

Titolo:

Barche al Granatello

Tecnica:

Olio su cartone

Anno:

1940

Misure:

21 x 15 cm

Note descrittive: La grande personalità di Luigi Crisconio abbraccia un arco assai ampio nella storia delle arti figurative del Mezzogiorno. Egli è, di fatto, il protagonista della pittura napoletana, dal 1920 al 1946, epoca in cui a solo 54 anni, improvvisamente morì. Crisconio apparve sulla scena artistica nel momento più sordo e chiuso dell'arte napoletana: il momento degli Irolli, dei tardi morelliani, dei vuoti ed insignificanti manipolatori di scenette di genere e veristiche di fine secolo. Egli, insieme a Eugenio Viti, rappresenta il rinnovamento dell’arte napoletana conferendogli un’accelerazione imprevista, determinandone lo scatto risolutore. Era un pittore semplice, senza complessi intellettualistici, il quale come tutti i pittori autentici sentiva soltanto la necessità, quasi fisiologica di dipingere, di immergersi nelle cose e di trasfigurarle nella furia dei sensi eccitati e della fantasia. La Napoli dei rioni poveri gli piaceva dal punto di vista esclusivamente pittorico, nelle tonalità dei rossi spenti dei vecchi intonachi, nei contrasti di luci ed ombre di origine secentesca, in quelle atmosfere tragiche che meglio si confacevano ai suoi umori e alla sua tavolozza. Certo, i suoi umori non erano sempre buoni: e molti quadri sono come capitoli della sua autobiografia, la storia delle sue peregrinazioni spirituali e sentimentali, ove si ritrova sempre “lui” con la sua implacabile sensualità, con le sue tormentose inquietudini, con i suoi amletici dubbi e il suo istinto infallibile di pittore nato. Un’artista simile, così genuino, così individualista, refrattario alle pause meditative e intellettualistiche, non poteva farsi influenzare dal clima della pittura contemporanea. Autobiografico sempre, anche nei paesaggi, anche nelle nature morte. I suoi cupi autoritratti, tutti intonati sui neri sono capitoli di un’autobiografia intima, spietata, che uno scrittore potrebbe tradurre in tanti capitoli di un romanzo. I soggetti dei suoi dipinti erano per lui soprattutto “pittura”: un rapporto di forma e di volume, giustezza del tono, preziosità della materia, unità di visione. Tutto il resto non lo interessava. Non molti artisti hanno prodotto tanti dipinti quanto Crisconio: la pittura era la sua dolce dannazione, nonostante l’indifferenza dell’ufficialità, nonostante anche lo sfruttamento di cui era fatto oggetto da parte di mercanti senza scrupoli. Nel gesto pittorico egli trovava pace alle sue inquietudini, lenimento alle sue amarezze. Crisconio aveva avvertito la lezione del Seicento napoletano, ma, soprattutto, intese la portata della lezione di Cézanne: la costruzione della forma mediante il colore doveva infatti costituire il fondamento del suo linguaggio, la precisa risposta alla sua irrinunciabile esigenza di consegnare all’immagine una durata. Fin dall'inizio il suo istinto lo guidò sulla strada opposta alla faciloneria orientandolo su di un rigore formale ed una originalità contenutistica. Nelle opere del suo esordio, prima ancora di iscriversi ai corsi dell'accademia, sono già evidenti la solidità volumetrica e la fermezza tonale che lo caratterizzerà in seguito. Egli dipingeva volentieri ritratti di amici, parenti o clienti della cartoleria che il padre aveva in Piazza della Borsa a Napoli, in cui Crisconio si sentiva prigioniero essendo costretto dal genitore a dargli un aiuto. L'Accademia che in seguito frequentò senza eccessivo entusiasmo come allievo del Cammarano, ebbe tuttavia una certa influenza sulla sua produzione giovanile. Respinto alla Biennale di Venezia, ignorato dalla critica ufficiale, Crisconio ebbe diverse crisi di sfiducia e di sconforto che superò rinunziando ai giudizi dei critici e agli inviti delle esposizioni ufficiali irridendo spesso questi avvenimenti. Crisconio viveva con la madre che caduta quasi in miseria, malediceva il figlio e “la sporca arte della pittura”. Dopo la morte del padre Crisconio aveva mandato alla malora il commercio e questo era per lui fonte d'amarezza che si portava dentro, più per il dolore della madre che per lui stesso. La sua pittura tumultuosa dove i colori erano buttati con violenza sulla tela, era una pittura impossibile per il mercato napoletano di allora e i ricchi collezionisti lo ignoravano così com'era ignorato dagli organizzatori delle grandi mostre. Crisconio venne ad abitare a Portici in una casa che affacciava sul mare, verso il Granatello, luogo che divenne uno dei motivi ricorrenti nella sua produzione. Dopo alterne vicende artistiche le quali non cambiarono la vita economica dell'artista, Crisconio nel 1936 sposa Elisa, la sua modella esclusiva sin dal 1927. Andarono ad abitare a Portici e la coabitazione con la madre dell'artista fu catastrofica e difficile. Iniziarono allora le continue peregrinazioni a Capri, Sorrento, Amalfi, in Sicilia, in Puglia e a Venezia. Durante la guerra si stabilì a Meta di Sorrento, dove dipinse la serie dei Cortili e dei Bambini figli dei pescatori poveri del luogo. Dopo la guerra tornò a Portici, dove, improvvisamente morì, il 28 gennaio del 1946. Una perdita immatura e dolorosa se si pensi che, nel mutato clima socio-culturale inveratosi col dopoguerra, la sua opera avrebbe potuto finalmente godere di una compiuta rivalutazione critica, atta a stabilire, come scrisse Renato Guttuso, che “Crisconio è una voce di cui va dato conto nella pittura dei primi quarant’anni di questo secolo, e che è una voce più forte di altre, più pura e più vera, anche se non futurista o metafisico o altro, ma solo un vero pittore, legato agli uomini che conosceva, alla terra, alle cose, al paesaggio che conosceva”.

Atre opere: