TONINO LOMBARDI (1934 – 2008)
Tonino Lombardi: Paesaggi Interiori
“L’arsenale di tenebre” si intitola lo scritto di Emilio Villa su Tonino Lombardi, “Elogio del nero” quello di Laura Cherubini. La critica ha sottolineato con insistenza il protagonismo del nero nella sua pittura, che tuttavia si manifesta, sin dal primissimo approccio, come un’esplosione di colori. La presenza del nero non nega infatti il colore, ma svolge nei suoi confronti una funzione propulsiva.
Nella pittura del passato, la visione prospetticamente costruita si avvaleva spesso di elementi disposti come quinte sceniche in primo piano, che avevano il compito di rilanciare lo sguardo in profondità, di “respingerlo” verso il fondo e prendevano infatti il nome di repoussoir. La visione di Tonino Lombardi segue invece un percorso inverso, proiettandosi o rovesciandosi talvolta addirittura con violenza verso lo spettatore, quasi montando come una marea, e il nero è appunto la molla ottica che genera lo scatto, è il repoussoir di questo moto invertito.
Nell’universo i “buchi neri” sono fossati che attirano la luce al loro interno, impedendole di propagarsi con il loro eccesso di gravità. Nelle cosmologie pittoriche di Lombardi, la prepotenza dei buchi neri si manifesta nella forma contraria, scagliando fuori della loro griglia la densa luce colorata della materia pittorica e imprimendole un vortice di dinamismo. La forza di gravità di questi neri li àncora al fondo ed essi manifestano la loro rabbia facendo roteare la tavolozza, spingendo via la matassa infiammata dei segni.
Talvolta, è vero, si ha un effetto diverso: i neri sovrapposti ai colori sembrano voler sbarrare la loro espansione, che tuttavia trova ugualmente i propri spazi, rifiutandosi di restare repressa, condannata a smorire nel fondo; e questo conflitto moltiplica ancora il dinamismo della visione.
La “rabbia” dei neri: Lombardi sembra parlarne, quando commenta così un proprio dipinto del 1990, tra i più carichi di oscurità, intitolato “Confronto”: «E scaturito da una gran rabbia dopo una delusione».
In termini psichici, i neri di Lombardi danno la misura della sua reattività, della sua capacità di reagire: al nero, ovvero al dolore. «Il dolore è il vero protagonista della mia pittura», ha scritto l’artista, parlando dei propri inizi: «Ho avuto la fortuna di avere un padre pittore. Dopo un primo contrasto, incominciai a deformare le immagini come faceva lui. Ma purtroppo mio padre è morto presto. Fu una vera tragedia. Dopo la sua morte fui assalito dal pensiero che alla sua stessa età mi sarei ammalato anch’io, come è avvenuto. È stata la pittura a salvarmi dalla profonda depressione che mi investì dopo la malattia. La pittura e la scultura, che ho sempre coltivato congiuntamente. Il dolore è il vero protagonista della mia pittura».
Si ha però l’impressione che “protagonista” sia, nel nostro pittore, piuttosto l’impulso di reazione, la reazione al dolore. Ecco infatti un altro suo brano autobiografico, che non è contraddittorio: «… dopo la crisi, la pittura cambiò; come se avessi superato qualcosa di grave che mi faceva paura. C’è stato questo passaggio, i colori sono diventati allegri, brillanti. I contrasti ci sono sempre, ma il colore è il vero protagonista».
Dunque, protagonista il nero — il dolore; protagonista il colore — la reazione al dolore. Il contrasto è tra l’incubo di un Male la cui insidia è sempre presente e la pienezza di un istinto vitale che vuole liberarsene, facendo appello alla gioiosa esuberanza della natura nei cui scrosci di luce, nei cui bagliori come rilanciati dalla terra al cielo, si rispecchia il concerto della vita.
Un altro punto su cui la critica si è espressa con unanime accordo, è il legame della pittura di Tonino Lombardi con il paesaggio e la natura della sua terra d’origine, le Puglie: «grammatica e sintassi della sua arte possono essere assegnate ad un dato luogo», scrive Erich Steingräber. «Esse hanno le loro radici nelle “amate sponde” tarantine, dove egli è nato il 16 marzo 1934 a Monteleone, dov’è cresciuto e ha imparato dal padre a dipingere. Anche più tardi, dopo essersi trasferito nella metropoli italiana, non ha mai smentito la sua provenienza, né come uomo né come artista».
«La sua pittura è più di ogni altra cosa il reperto di un viaggio nel Sud Ancestrale, nella protostoria, se non addirittura nella preistoria, del suo autore» (Cesare Vivaldi).
«La pittura di Tonino Lombardi è una pittura del ritorno alle origini. Le origini in terra di Puglia, terra luminosa e solitaria del Sud, terra assolata e mediterranea, dove ampi orizzonti coniugano cielo e terra». (Laura Cherubini).
Emilio Villa trovava riscontri in «una zona geografica tra Salento e Murgia, tra Basento e le metafisiche otrantine e ostuniane». Queste annotazioni vanno condivise anche se si potrebbe parlare più in generale di natura mediterranea, e di natura non soltanto come spettacolo del mare blu, della terra riarsa, delle città imbiancate, della luce intensa, dei cieli trascoloranti che affacciano verso le policromie dell’Oriente; ma anche e soprattutto di natura come temperamento, temperamento acceso e generoso di un uomo del sud. Il già citato “Confronto” del 1990, di cui l’artista ci ha confessato la genesi “da una gran rabbia”, è composto da zone rosse e nere in conflitto tra loro, con alcune tracce bianche di luce: sono colori di uno stato d’animo veemente, di un dissidio o di una tensione psicologica che trascende la visione del naturale, quasi riproducendo, in termini informali, il celebre tema balliano di “ottimismo contro pessimismo”. Tema più astratto quest’ultimo, come invece più incarnato in una sanguinante realtà dell’anima appare essere nella tela di Tonino Lombardi.
Lo stesso tipo di composizione, con lo stesso contrasto degli stessi colori nero e rosso, si poteva già leggere in “Avvenire” del 1988; la maggiore estensione dei bianchi, potrebbe qui anche significare l’attesa di un futuro sottratto a quel dissidio, che di nuovo, tuttavia, si manifesta nella reciproca aggressività di timbri oscuri e infiammati, un dissidio di indole interiore.
Voglio dire che nella pittura di Lombardi non è da sottovalutare una precisa componente espressionista, tanto che si potrebbe parlare di “espressionismo astratto” con maggiore proprietà che non a proposito dei grandi protagonisti americani dell'”action painting”, per i quali la formula è stata inventata: ad eccezione di De Kooning, che non a caso, del resto, sembra una delle componenti della cultura pittorica di Lombardi.
Nella scultura, che è un aspetto non secondario della sua arte, la componente espressionista si manifesta del resto pienamente; la pietra porosa è sottoposta a scavi profondi che segnano con forza le ombre, ad alternanze di vuoti e di pieni intorno a cui la forma costruisce le proprie torsioni.
In pittura, i colori di Tonino Lombardi patiscono una sorta di viraggio psichico, anche quando sono attinti allo spettacolo del paesaggio. Il nero del resto, riferimento costante di Lombardi, è raro da trovarsi nelle forme diurne della natura; e se in questa pittura si verifica, come si verifica, una miscela e un contrasto di diurno e notturno, questo accostamento nasce da un’elaborazione della psiche.
Fossero soltanto ombre, i neri, bisognerebbe dar ragione a Laura Cherubini la quale ha osservato che «nella polemica ottocentesca che coinvolse impressionisti e macchiaioli riguardo al problema se le ombre fossero nere o colorate, Lombardi si troverebbe a sostenere la prima ipotesi, identificando il luogo dell’ombra, con il nero, assenza, colore non-colore».
«I neri non hanno una funzione negativa — ha scritto a sua volta Cesare Vivaldi —, ma una funzione di ombra, sono solo un altro aspetto, un altro modo di essere della luce». E queste parole contengono una loro verità, solo se si considera il ruolo pittorico giocato dai neri che sono, quasi loro malgrado, coinvolti nell’agitazione luminosa del dipinto. Ma piuttosto che ombre fisiche, sono in realtà ombre della nerezza, ombre dell’animo.
Lombardi fa dilagare il nero, sia pure stemperato in un accenno di blu, persino in un’opera intitolata “Primavera”, del 1984, che per il resto è un risveglio di toni teneri, da un verde leggero a un bianco e a un giallo luminosi: ma presi come a morsa dall’abbraccio unghiuto dei neri, quasi una speranza che minaccia di essere strangolata.
Guardo ancora un dipinto come “Prostituta” del 1992: la sagoma femminile si coglie lungo contorni arrossati, di un’avvampante carnalità, che debordano nel fondo mescolandosi al blu, virando nel viola: l’immagine subisce, ad evidenza, la proiezione di un turbamento, con procedimento espressionistico.
E cosa sono quegli angeli, che il pittore ama raffigurare in forme delicatamente riconoscibili nei suoi acquarelli del 1993, o in forme astratte in un dipinto ad olio dello stesso anno, dal titolo “Angeli sul ponte”?
Non possono che essere traduzioni poetiche di un’idea del Bene, che sgorga con l’ingenuità irrinunciabile della speranza, idee del Bene che, nel dipinto, si trovano di nuovo a lottare con l’agguato nero del Male. “Paradiso degli angeli” e “Angeli in concerto con organo e arpa” del 1992, confermano la predilezione di Lombardi per questo tema, del resto da lui stesso dichiarata: «Gli angeli mi hanno sempre affascinato, così li ho concepiti in concerto». “Senza pace” è il titolo di un’altra tela del 1993, dove quelle strie bianche che gareggiano con le nere in altezza e le vinco-no, potrebbero essere ancora angeli insidiati e in combattimento.
Le stagioni, è vero, pulsano nell’occhio di Lombardi, che nel 1984 le ha dipinte tutte e quattro in altrettante tele, occhio non certo chiuso all’osservazione della natura: “Fondali dello Ionio” (1973), “Prima sera” (1987), “Quiete campestre” (1991), “Siesta” (1992), ad esempio. Sono visioni e momenti tuttavia introiettati, e come investiti da una scossa del sentimento, prima di essere restituiti alla movimentata flagranza dello spettacolo pittorico, momenti che scandiscono il “Tempo dell’esistenza”, come si intitola un’opera del 1974 composta con fogli di calendario.
Due lavori del 1975, dal titolo “Denuncia e testimonianza”, segnano una sporadica ma significativa incursione in un figurativo di lontana, ma drammatizzata, ascendenza Pop: sono realizzati a collage e rendono in altro modo, attraverso l’affollato accostamento di immagini tratte dalla stampa, quello stesso senso di fluttuante agitazione e di allarme che negli altri dipinti è più fluidamente affidato alle mareggiate del colore, alla violenza o alle mutevoli gradazioni dei gesti e dei segni.
Altre volte i soggetti si ispirano a temi di festa o di riti e di incontri collettivi, da “Corrida”, di cui conosco due versioni, del 1984 e del 1986, a “Festa” del 1984 e a “Palio di ferragosto” del 1987, a “Carnevale” del 1988, a “Notte di festa” dello stesso anno, a “Danza barocca” del 1991. Nella prima “Corrida” sembra di intravedere la sagoma nera, irruente, del toro e quella volteggiante, in rosso, del torero, in uno scontro di forme che quasi grottescamente si spezzano contro il vuoto; la seconda è un lago vermiglio in cui si mescolano la furia e il massacro. In “Danza barocca” l’assedio dei ritmi sconnessi investe una sorta di volto o maschera espressionisticamente caricata; c’è qualcosa di maligno e di minaccioso in questo urtante affollamento, ma anche nel confuso sovrapporsi di volti che caratterizza “Una domenica a Fregene” (1991); volti – maschere di un anonimato invadente, che intrecciano a loro volta una specie di danza grottesca. Tonino Lombardi ha dichiarato di amare le maschere, perché “nascondono spesso i nostri sentimenti”; ma possono anche, al contrario, impersonare l’incubo e svelare l’angoscia, come nel dipinto intitolato appunto “Maschere” del 1964, realizzato con corda, sacco e pigmenti su legno.
La forza espressiva della pittura di Tonino Lombardi va al di là della rievocazione e si addentra piuttosto nella meteorologia dei sentimenti, cercandone nella natura, semmai, un rispecchiamento o un equivalente, non di rado tempestoso. Un dipinto del 1962, “Paesaggio pugliese”, può essere un esempio letterale: «Ricordo — ha scritto l’artista — un temporale disastroso in Puglia a Taranto. L’idea di tentare di portarlo sulla tela fu forte e così venne fuori questo quadro, con il sereno in arrivo». Risulta abbastanza evidente l’immedesimazione dello stato d’animo in questo schianto degli elementi, che è una sorta di monito e, insieme, di incoraggiamento, nell’apparizione dello sfondo che promette il ritorno di una pace anche spirituale. “Minaccia di temporale” (1986), “Burrasca” (1990) riprendono un tema emblematico, che non a caso battezzò un movimento romantico (lo “Sturm und Drung”) preludente all’espressionismo tedesco. L’intenzionalità del riferimento culturale è quasi certamente assente nell’artista. Egli ha per suo conto ritrovato quell’analogia tra le forze deflagranti della natura e l’inquietudine dei moti interiori, che appartiene alle più elementari strutture dell’immaginario.
Maurizio Calvesi (1997)