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Glen Sacks: prima pittore, poi fotografo

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Glen Sacks, nato a Brooklyn, vive e lavora tra New York e Philadelphia. Ha studiando al Philadelphia College diplomandosi in Arte nel 1976 e poi ha completato la sua formazione artistica al Bard College nel 1990. Nel 1991 ha ricevuto il prestigioso Rome Prize all’American Academy in Rome, e successivamente ha ricevuto numerosi premi da enti governativi americani. Dal 1990 partecipa ad importanti mostre collettive e personali, per esempio sono da ricordare la mostra personale intitolata “Lavori 1990-1995”al Centro Americano Colombo a Medellin in Colombia; e poi ancora alla 128 Gallery di New York e più recentemente ha preso parte al 40th Street Artist in Residence Program  University of Pennsylvania Fellowship. Ha partecipato a parecchie iniziative e mostre su tematiche sociali, mostrando molta sensibilità verso il Cancro al Seno e l’AIDS. E’ stato volontario presso La Clinica del Cancro (Neo-Plastic Clinic) Ospedale di New York, accanto ai malati senza copertura sanitaria bisognosi di cure mediche. Lavorando con un assistente sociale, ha sviluppato un programma di terapia artistica che ha avuto effetti positivi sui pazienti, principalmente donne afroamericane e ispaniche della comunità di Harlem. Tra i riconoscimenti, il premio nel 1995 dalla New York Foundation per le Arts Fellowship, uno nel 1994 dal Mid Atlantic National Endowment per le Regional Arts Fellowship, e un premio nel 1993 dal National Endowment per le International Arts Travel Grant. I suoi lavori sono stati argomento di diverse pubblicazioni tra cui “The Journal of Art”, “Flash Art” e “The Arts: Complimentary Partners in General Education”.

 

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Glen Sacks, “Studio per Gold Cup”, tecnica mista su carta 100×70 cm del 1991

La sua evoluzione artistica l’ha spinto verso la fotografia. Glen Sacks, che si descrive come un “fotografo di strada”, documenta la periferia estrema di Philadelphia, con i suoi monumenti popolari, i luoghi di culto, le chiese abbandonate, i murales che ricordano le vittime della violenza delle armi, la sofferenza, la perdita, il dolore e la spiritualità in quegli spazi urbani. Concentra il suo lavoro sugli omicidi di Philadelphia, ne fotografa le memorie: peluche, fiori e altri oggetti lasciati dai cari sul posto. Significativa a riguardo è la sua opera, “Naming the Numbers” (Dando un nome ai numeri) che elenca i nomi delle vittime di omicidio di Philadelphia nel 1988. Con la ricerca e la catalogazione delle memorie, Sacks vuole lanciare un messaggio implorando la fine della violenza e del degrado urbano e si interroga anche sull’aspetto architettonico ed antropologico, proiettando uno sguardo verso le imprevedibili e spontanee evoluzioni del tessuto urbano, in perenne transito.

 

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Glen Sacks, “Studio per camera doppia”, tecnica mista su carta 82×64 cm del 1991/2

Così ha scritto di lui Naima Morelli in occasione della mostra “Una disperata voglia di credere” del 2010 al Temple University di Roma:

[…] Profondo è il lavoro fotografico di Glen Sacks. Questo simpaticissimo americano ha girato la sua amata New York e la Philadelphia dove risiede alla ricerca degli altari della contemporaneità. Si tratta di un sacro nascosto tra mucchi di giocattoli alla memoria di un bambino morto, dipinti kitsch agli angoli della strada, ma anche in case sradicate, un po’ hopperiane, dove il senso d’abbandono coincide con la ricerca di una spiritualità commovente per la goffaggine con la quale viene confusamente invocata. Spogliati dei riti, sembrano dirci le fotografie di Glen Sacks, siamo come dei primitivi che sentono ma non riescono a spiegarsi; noi invece abbiamo perso l’alfabeto, oppure l’abbiamo seppellito sotto l’oro dei fregi delle cattedrali. C’è un oceano di distanza tra l’approccio europeo al sacro di Gaia e quello decisamente stelle-e-strisce di Glen, il quale dà voce in questi lavori specialmente alle comunità sudamericane, là dove violenza e preghiere sono particolarmente rumorose. E’ Glen stesso che parla con totale sgomento di quello che l’11 settembre ha rappresentato per gli americani, così come “Il re è nudo” per i bambini e “Dio è morto” per Nietzsche… insomma, l’incapacità di credere, la quale cela proprio una terribile voglia di credere. Non c’è quasi nulla che importi di più, e questa superba mostra ha una voce profonda, forte, piena di accenti.

Naima Morelli

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