Tra l’urlo immane e il silenzio desolato, che inesorabilmente segue, è naturale la pausa. In quella hanno senso le evidenze riflessive che Vavuso, ribelle esasperato, comunica nella sua attuale ricerca, proposta agli uomini umani che, nonostante tutto, progettano per il tempo della continuità con la tempera degli uomini storici che creano eventi reali. Il nostro tempo dell’incertezza, del mondo complesso e impredicibile, dell’omologazione, condanna al divenire sopravvivente l’andare verso il diritto ad un’evoluzione storica, in cui la vita abbia più vita. Lo esige la laicità che impegna ad “andare verso” nel pieno rispetto dell’etica dell’attraversamento. Vavuso denuncia l’inconciliabile dissidio tra natura e cultura, tra superpotere economico ed ignoranza generalizzata, tra miseria affamata e fanatismo irriducibile. Vincenzo Vavuso invoca l’arte che, proponendo orizzonti di auspicati, nobili processi di cambiamento, fronteggi l’ineluttabile che diventa regola e azzera le ragioni della ragione. Alla supremazia giova solo la distruzione delle preesistenze: schiaccia, brucia, massifica, vanifica l’impegno di generazioni che hanno prodotto civiltà e, quel ch’è peggio, alimenta la smemoratezza, disprezza il sentimento e domina l’omologazione. Questo è l’incubo che atterrisce l’artista, che teme gli effetti della rabbia impotente. Intanto il mistero domina incontrastato. Le più antiche domande che dall’insorgere della coscienza i primi uomini si posero, restano intatte, nonostante le prese di posizione dei creazionisti e degli evoluzionisti. Da tempi remotissimi, noi, viventi interrogativi continuiamo a chiederci chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Ignorare del tutto queste istanze è possibile: basta convincersi che non ci riguardano. Però qualche certezza ci compensa: noi siamo quello che facciamo, quello che realizziamo con, per, e tra gli altri e non c’è definizione più bella di quella che riconosce la vita in perenne mutamento come regola e desiderio. Tutto ciò che diviene ha diritto di vivere.
Vavuso teme la sopravvivenza, la negazione della libertà di conoscere e conoscersi nel transito, nell’attraversamento etico, che è tale, perché impegna al rispetto della vita, valore unico e irrinunciabile. Vavuso non è certo il primo ad esigere una sana crescita culturale, spirituale, e di conseguenza politica, in sereno e sincero progresso. La sua stessa rabbia; il suo urlo più vano di quello di Rilke, addirittura minuscolo nei confronti di quello di Caino, che esige da Dio una ragione, una risposta, totalmente delusa alla sua eterna condanna di datore di morte. Vavuso si scontra con l’epidemico e acritico eccesso mediatico che conquista masse patologicamente confuse, arrabbiate e affamate di prede da sbranare su comando. I privilegi degli egemoni dominanti sono dogmi: i loro acerrimi nemici sono proprio il pensiero libero, la cultura, l’arte che liberamente afferma la sua decisione creativa ed è sempre al servizio degli uomini liberi. Chi si nutre di rabbia e vanamente urla contro il silenzio omologato e acquiescente sa che le città senza civiltà sono affollate di solitudini, gravate da prepotenze immotivate, da leggi distanti dalla giustizia e dall’equità. La nostra società di individui si adegua alla necessità di sopravvivenza, smemorata dalle tradizioni comuni e dei valori della propria storia. Intendo le ragioni di Vavuso, perché non oso smentire Eraclito: “Uno solo vale più di diecimila per me se è il migliore”. Com’è attuale l’articolo che Pasolini propose sul Corriere il 17 maggio 1973, ribellandosi contro l’omologazione e prendendo spunto dalla pubblicità di una marca vincente nello slogan: “ non avrai altri Jeans all’infuori di me”. Quel saggio, ora è inserito in Scritti Corsari, difendeva i sacrosanti diritti delle tradizioni destinate a perdere la propria orgogliosa autonomia. Nel tempo dell’incertezza e dell’impredicibilità anche la nostra lingua langue tra le elette dall’Europa delle Nazioni: è in gioco l’identità di una Civiltà maestra al mondo per natura ed arte. E quest’è, si dice dalle mie parti concludendo. Però, nonostante tutto la vita continua ad essere regola e desiderio ed attende il poeta e l’artista che ritrovino misteri nelle certezze inoppugnabili. A pagina 73 di quel prezioso volumetto che con il titolo di Carte Lacere venne pubblicato in edizione numerata nel 1991, a dieci anni dalla sua scomparsa, Leonardo Sinisgalli richiama la nostra attenzione ad una inoppugnabile evidenza. Ci ricorda che: “ 3 numeretti trascendenti, inesprimibili per cifre, fanno la trinità che regge il mondo: 1618…;3141…;2718…;”. Internet che ora agevola i supponenti e gli sprovveduti, abili nel copia e incolla, a farsi belli del buono e del nuovo altrui, valga per ritrovare i numeri di cui sopra e dare una sbirciatina anche alla derivazione di Google, che prende il nome da un non corretto spelling. Si incontreranno cifre d’alto interesse; 10 seguito da un milione di zeri o da un milione di milioni di zero….
E che fine è riservata ai numeri primi in questa nostra realtà dell’impostura, che provvidenzialmente ri-trova un pontefice esperto della laicità del rivoluzionario Francesco? Sinisgalli era attento “ ai numeri primi che nelle oro estreme solitudini si affiancano e forse si collegano in colonie come le stelle”.
I numeri primi del pensiero e delle arti vivono malissimo. Si ritrovano come Morgante e Margutte a verificarsi in improbabili dialoghi mentre scalano l’estrema cima della loro Himalaia per poi rendersi conto che, in vetta, il vertice si perde nei cieli che celano. In tutto questo lo scarabocchio è legato alla nostra fisiologia e la calligrafia alla nostra cultura che, se d’imposizione non è spazio che comunica. La materia grigia del mondo è però sempre in fermento e, quindi, non ci sarà mai stasi finché il pensiero lo tiene sveglio. Che dire a Vavuso che deve difendere le ragioni dell’arte? Denunci e non si arrenda. Per ora mi tocca riflettere sull’amplesso pitagorico rappresentato da due quadrati contigui. Eppure non ho dimestichezza con Cartesio Maestro di Regine. Ho respirato il tufo delle stanze in cui Vico si spupazzava la figliolanza ed era precettore di scugnizzi. Sono certo dei ri-corsi che rendono giustizia provvidenziale agli umani valori. Siamo impegnati al tempo della continuità, la progettiamo, se perseguitati alla luce, a in sotterranei percorsi, pronti a venir fuori non appena langue la virulenza che vanifica il bene che gli uomini fanno. Non calpestiamo la natura, né bruciamo i libri del sapere. Esigiamo eventi storici qui e ora, sulla Madre terra che ci nutrì di miti reali e praticabili nelle evoluzioni dei tempi che ce li rinnovano, in chiarificazione. Ci piace James Mead che, reduce dalla vana ed estenuante ricerca praticata nei mari, sulla rotta per Utopia, sulla via del ritorno ha infine incontrato nell’isola di Agathotopia il luogo d’appartenenza e di continua modificazione, in cui confluiscono ciò che è stato e ciò che sarà.
Per quanto concerne la scelta delle evidenze comunicanti ad unum, è interessante sottolineare che, oltre i riferimenti metaforici, Vavuso, nella concretezza della denuncia e della diretta comunicazione con il sociale nei giorni di tutti, non mistica i materiali. Aggiunge solo il colore connotativo, relativo alle catene, alle armi da lavoro che diventano strumenti di tortura e sopruso. La crudezza dell’epifania, grazie al richiamo del legno, del ferro, della carta, che si sono evoluti in oggetti d’uso e di civiltà progressiva, diventa ancora più eloquente, perché la rabbia che grida la disumanizzazione, è forte richiamo all’incubo regressivo, che incalza proprio dove domina il silenzio acquiescente.
Angelo Calabrese
S C A R I C A L' I N V I T O Q U I
BIOGRAFIA
L’interesse di Vincenzo Vavuso per le arti figurative deriva dalla dimestichezza con le opere collezionate in famiglia, alla cui acquisizione apprese ben presto a partecipare con la passione che in lui cresceva e si rilevava nei suoi primi disegni e impasti cromatici. Dalla nativa città di Caserta, completati gli studi, si trasferisce a Salerno, ove presta il servizio militare. Qui è sconvolgente l’impatto con le bellezze naturali della Costiera e con le opere dei pittori fioriti e fiorenti in una terra
benedetta dalla natura e dalla cultura. Si interessa alle ragioni dell’800 e ai fermenti del ‘900; dipinge e annota le sue impressioni e i frutti delle ricerche, che saranno poi raccolte nel volume “La pittura: l’espressione di noi stessi”, un emozionato excursus tra due secoli, in cui contano gli incontri a distanza ravvicinata con i Maestri delle arti figurative e con le loro opere, affrontate con le vibrazioni dell’impatto diretto.
Intanto dal naturalismo e dalla nuova figurazione si concretizza il transito delle scelte formali e concettuali con un impegno che coniuga esigenze estetiche e sociali, per cui, al primo volume cui si è fatto cenno, edito per i tipi di Terra del Sole, si aggiunge “Rabbia e Silenzio”, Cervino Editore, che teorizza l’omonima personale accolta nelle sale del Museo Provinciale di Salerno (2013).
Attività Curriculare:
Vincenzo Vavuso vive ed opera a Salerno, il suo Atelier è ubicato nella zona est di Salerno. La sua presenza sulla scena espositiva data dal 2001 e molte delle sue opere figurano in collezioni importanti sia pubbliche che private, oltre che in prestigiose gallerie d’arte. L’artista ha ottenuto riconoscimenti sia in ambito nazionale che internazionale ed è presente in vari cataloghi, enciclopedie e siti d’arte.
Tra le sue più significative personali vanno ricordate:
Nel segno del colore, Galleria La Pergola Arte, Firenze;
Oltre gli schemi, Villa Bruno, San Giorgio a Cremano, Napoli,
Emotion, Galleria La Pergola Arte, Firenze;
L’infinito Oltre, SkineWine, Salerno;
Altrove lo straniero, Maiori, Salerno;
Rabbia e Silenzio, Pinacoteca Provinciale, Salerno.
Tra le sue significative collettive vanno ricordate:
Arte a Salerno, Salerno;
Giornata del Contemporaneo, Firenze;
Piè Monti, Udine;
Colorissimamente, Roma;
Avalon in Arte, Salerno;
Pennello d’oro, Dubai (Emirati Arabi).
È in possesso di recensioni critiche di:
Angelo Calabrese;
Luigi Crescibene;
Michele Sessa;
Daniele Menicucci;
Michael Musone;
Massimo Ricciardi;
Franco Bruno Vitolo;
Raffaella Ferrari;
Immacolata Marino.
S C A R I C A L' I N V I T O Q U I