Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Admin (del 18/03/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2428 volte)
{autore=cherubini andrea}


L'opera riporta firma, luogo e data in rosso in basso a sinistra: "A. Cherubini - Capri - 1901" e titolo sempre in rosso, in basso a destra: "Casa di Olconio - Pompei".

ANDREA CHERUBINI (Roma, 1831 - Capri, 1905)
Dopo aver studiato e fatto il suo apprendistato a Roma, dipinse nel Lazio e spesso in Campania sino a trasferirsi a Capri, nel 1880, sposando una giovane isolana. La sua produzione artistica è vasta e comprende sia oli che acquerelli. Il suo soggetto preferito è Capri ma di lui si conoscono anche nature morte e paesaggi ischitani. Esordì nel 1865 esponendo a Roma con la Società Amatori e cultori, paesaggi laziali: “Campagna romana con capre”, “Campo verde con anatrelle”, “Bufali con antico rudere”, “Nevata”, “Paesaggio con bovi” e “Veduta del Colosseo”; nel 1870 alcune nature morte; nel 1871 dipinti di genere e dal 1872 in poi motivi capresi; nel 1883 una marina ed in altre esposizioni figurò con otto vedute di Capri, con “Veduta dell’isola d’Ischia” e “Dintorni dell’isola d’Ischia”. La sua produzione si divide tra una più commerciale e una in cui l’artista sembra ricercare una dimensione onirica e quasi surreale del paesaggio. Eseguì anche dipinti a tema religioso e lavorò per la chiesa del Sacro Cuore a Castro Pretorio a Roma. Delle sue opere più significative possiamo ricordare: “Marina di Capri” del 1873, ”Il mare veduto dall’isola di Capri”, ”Grotta Azzurra” del 1879 e ”Salto di Tiberio” del 1885.
(Roberto Rinaldi – Pittori a Napoli nell’Ottocento)
 
Di Admin (del 14/03/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 4336 volte)
{autore=capaldo rubens}

RUBENS CAPALDO (Parigi, 1908 - Napoli, 1997)
"NUDO"
OLIO SU TELA
69 x 40 cm del 1967




RUBENS CAPALDO (Parigi, 1908 - Napoli, 1997)
"FIGURA"
CARBONCINO SU CARTA
96 x 50 cm del 1973

 Entrambe le opere sono firmate e datate in basso a destra.


Rubens Capaldo "alle origini della forma" di Paolo La Motta

 Osservando il panorama della pittura napoletana della prima metà del Novecento, e più precisamente analizzando l’opera dei pittori come Crisconio, Chiancone, Striccoli, Brancaccio, Casciaro, è evidente, nella formazione di tutti questi autori, la matrice novecentista che, nel periodo in cui hanno operato, accomunava pittori di tutta Europa ed oltre, secondo il rapelle al ordre di Waldemar George e i “Valori plastici” di Mario Broglio.

Ma osservando l’opera di Rubens Capaldo, che appartiene ad una generazione successiva ai pittori sopra citati, Guido Casciaro escluso, notiamo subito, nella prima fase giovanile, un forte debito nei confronti di Crisconio, pittore molto amato da Capaldo. Mentre non rileviamo tracce di “Novecento” nella sua formazione, se non in qualche opera. Ora c’è da domandarsi da dove mai venisse l'amore di Capaldo per quelle forme piene e scultoree, per quella pittura dove la figura umana, il nudo, assumono un ruolo centrale nella sua ricerca, dove un nutrito corpus di disegni rappresenta il cuore della sua poetica, esplicata da un fare monumentale. Leggendo alcuni cenni biografici sulla formazione dell’artista, scopro un elemento che credo determinante per spiegare quel gusto per la forma piena: è il termine “crastularo”, ovvero ceramista.

L’approccio all’arte del giovane Rubens, avviene attraverso l’uso della creta, materia che conosce ben prima del colore. Il lavoro sulla ceramica è principalmente un lavoro sulla forma: il termine “forma bombata”, che suona così scultoreo, è, tutto sommato, legato alla forma dei vasi (a tal proposito si guardino certe sculture di Maillol). È l’amore giovanile dell’artista per la linea curva, per la forma plastica, per l’ellisse, che darà luogo a quel linguaggio personale di Capaldo maturo. Ammirando gli straordinari nudi del maestro, prima di analizzare il linguaggio della pennellata che merita sicuramente uno studio a parte, noto subito qualcosa che ha poco a che fare con la nostra pittura napoletana, cioè quel modo tipico del Manierismo di allungare i corpi e rimpicciolire le teste (proprio di un Pontormo e di un Rosso Fiorentino) come anche la resa di incarnati lividi, molte volte ottenuti con toni freddi di straordinaria raffinatezza.

Potremmo paragonare la ricerca di Capaldo sul Manierismo a quella dello scultore Emilio Greco che in scultura sperimentava in quegli anni tale linguaggio.

Questo avvicinarsi al Manierismo è nato sicuramente da un’esigenza interiore, legata, come dicevo, alla sua formazione di matrice scultorea che consente di focalizzare il proprio lavoro sulla forma, essendo peraltro padrone di molteplici tecniche e profonde conoscenze di mestiere. La pennellata, come dicevamo, ha un forte rapporto con l’opera di Crisconio, il quale riesce a coniugare i toni cupi ereditati dal Seicento e appresi dall’opera del Cammarano, con una visone moderna e costruttiva che passa attraverso l’opera di Cèzanne. Capaldo capisce che la pennellata, il gesto nervoso e costruttivo, sono il compimento della sua ricerca sulla forma pittorica. Pennellata che risente dell’esperienza del ceramista, la materia brillante e luminosa di certe opere mature che fanno pensare alla lucentezza degli smalti tipiche delle maioliche. In questo modo il maestro non si accontenta solo dell’aspetto costruttivo e luminoso (la famosa sintesi cezanniana di forma-colore-luce), ma altri aspetti di natura simbolista e visionaria accompagnano il suo lavoro, dando un’originale impronta alla sua ricerca. In alcuni dipinti il fondo sembra compenetrare con i volumi che compongono la figura, andando a sfaldare i piani, creando un’atmosfera luminosa, suggestiva ed unica. Dunque Capaldo è un artista ricco di suggestioni, con una formazione del tutto originale e con una personalità complessa e raffinata. Grazie a queste caratteristiche, la sua pittura ha sicuramente un respiro europeo, conferma indiscutibile della nostra ricchezza culturale, che tante volte la nostra città purtroppo nasconde sotto l’ombra del provincialismo e dell’ignoranza.

(Paolo La Motta)

 
Di Admin (del 09/03/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2873 volte)
{autore=anonimo}

Olio su tela della Scuola napoletana del sec. XVIII raffigurante la Madonna delle Grazie. Misura 55 x 45 cm. L'opera è stata rifoderata e restaurata.
 
Di Admin (del 03/03/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 1745 volte)


CORNELIS KRUSEMAN (Amsterdam, 1797 - Lisse, 1857)
"IL COMPIANTO DI CRISTO"
OLIO SU TELA
63 x 54 cm del 1836

L'opera è firmata e datata in rosso in basso a destra: "C. Kruseman 1836".
E' noto un bozzetto dell'opera, pubblicato sul sito della Fondazione Kruseman.

Cornelis Kruseman (Amsterdam, 25 settembre 1797 - Lisse, 14 novembre 1857) è stato un pittore olandese, figlio di Alessandro Hendrik Kruseman (1765-1829) e Cornelia Bötger (1762-1831).  Nel 1821 si reca in Svizzera e in Italia per poi soggiornare a Parigi. Nel 1825, dopo il suo ritorno nei Paesi Bassi, si stabilisce a L'Aia. Il 3 ottobre 1832 sposa Enrichetta Angelique Meijer. Nel 1841 parte nuovamente per l'Italia, dove rimane per sei anni. Per questo viene anche chiamato "Kruseman l'italiano". Dal 1847 al 1854 vive a L'Aia, e dopo a Lisse fino alla sua morte. Dall'età di quattordici anni Cornelis Kruseman frequenta l'Accademia di Amsterdam e riceve lezioni da Charles Howard Hodges (1764-1837), Pietro Antonio Ravelli (1788-1861) e Jean Augustin Daiwaille (1786-1850). La sua opera è costituita da ritratti, soggetti biblici e scene di genere italiane. Nel 1826 ha pubblicato un resoconto del suo viaggio in Italia. Egli è stato onorato per il suo lavoro in diversi modi. Nel 1831 viene nominato Cavaliere dell'Ordine del Leone d'Olanda e nel 1847 come Comandante dell'Ordine della Quercia di Corona e nel 1841 una sua opera viene acquistata dal Re di Olanda e Granduca di Lussenburgo, Willem II. A lui sono state intitolate strade cittadine ad Amsterdam, Eindhoven, Ede e Leeuwarden. Tra i suoi allievi: Jan Adam Kruseman (1804-1862) e Herman Frederik Carel ten Kate (1822-1891). Nel 1996 nasce la Fondazione Kruseman. L'obiettivo della fondazione è quello di ottenere maggiore riconoscimento per l'opera di Cornelis Kruseman e dei suoi familiari pittura.
 
{autore=striccoli carlo}


CARLO STRICCOLI (Altamura, 1897 - Arezzo, 1980)
"NATURA MORTA"
OLIO SU TAVOLA
30 x 43 cm

L'opera è firmata in basso, sia a destra che a sinistra: "Striccoli". Sul retro della tavola ci sono tre cartigli: uno con timbro della galleria svizzera Kunsthalle Bern; un secondo frammentario è appartenente ad altra galleria italiana; infine un altro riporta titolo, prezzo, firma e indirizzo apposti dall'artista: "Natura morta 45.000 Carlo Striccoli Cimarosa 37 Vomero".

Si rende noto a Collezionisti e Galleristi che è in preparazione la prima monografia di Carlo Striccoli, a cura di Mariadelaide Cuozzo, docente di arte contemporanea dell’Università della Basilicata e Anna Lucia Cagnazzi coordinatrice dell’archivio Striccoli. Edizioni Paparo. Coloro che volessero pubblicare le proprie opere possono far pervenire richiesta entro il 25 marzo 2011 ad annacagnazzi@gmail.com o a lamediterraneaarte@virgilio.it 

CARLO STRICCOLI
Un altro pugliese, di Altamura, Carlo Striccoli, si affermò come uno dei principali promotori della corrente novecentista napoletana. Egli partiva dall’insegnamento cammaraniano ricevuto all’accademia, un insegnamento che aveva reso più evidente una sua pittura che lo avvicinò, per qualche tempo a Crisconio, di cui tentò di comprendere le ragioni del fascino, e l’evidente significato di avanzamento rispetto a una certa pittura, che conservava intatta la nobiltà di una tradizione illustre. Striccoli aderì più tardi al movimento novecentista, e ancora nel 1930 egli esponeva dipinti ispirati ad una vigorosa e puntuale resa del vero, nel senso del naturalismo cammaraniano. Successivamente, e non si è mai capito perché, Striccoli sbandò, si perdette nella imitazione quasi letterale di un Carena, di un Salietti e dei pittori più stanchi e prevedibili della moda novecentista. Per ritrovare il filo della sua pittura, dovette passare molto tempo, fin quasi agli anni ‘40, quando ritrovò gli agganci con quelli che erano stati i suoi reali maestri: oltre Cammarano, Villani, Mancini e Crisconio. Sostenuta da una autentica forza nativa, la pittura di Carlo Striccoli riuscì subito dopo ad affermarsi come quella di un artista di sicuro talento, anche se i suoi limiti rimanevano quelli dell’incapacità a condurre conseguentemente una sua esperienza positiva nel senso realistico. La breve esperienza novecentista era ancora da superare, e per superarla erano necessari una coscienza culturale e un senso critico che Striccoli non ebbe mai a sufficienza, per cui gli mancò la capacità di mettere a frutto, con audacia, tutte le qualità native di cui non aveva esatta consapevolezza. Il pittore doveva andare oltre la pura espressività istintiva. Cosa sarebbe stata la pittura di Striccoli, se fosse riuscito a mettere a frutto certe sue scoperte cromatiche, quei grigi argentei presenti in ceni quadri, specie nei nudi e nei volti femminili, o nei paesaggi, visti in una maniera che rivela efficacemente l’atmosfera dell’ora o delle stagioni? Negli ultimi tempi la sua pittura si avvicinò ad una sorta di espressionismo automatico, e in questo senso egli compi passi notevoli nel definire il suo mondo. Nuovi contenuti urgono allo spirito di un artista della sua natura e i generi non soddisfano più; ciò si avverte dal modo furibondo col quale Striccoli tenta di risolvere e di chiudere un paesaggio o un quadro di figure, adoperando una tecnica abbreviativa, come di chi è preso dall’orrore di cadere nel non piacevole gioco del «color locale». Striccoli tuttavia resta tra i più dotati pittori meridionali, anche se il cammino accidentato da lui percorso è esemplare di una condizione umana di sbandamento e di crisi dell’arte verificatasi dopo il 1950 e di cui egli è stato una delle vittime.
(Paolo Ricci, da “Arte e artisti a Napoli”)
 
Di Admin (del 07/02/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 5546 volte)
{autore=parlato giovanni}


GIOVANNI PARLATO (Vico Equense, 1957)
"NATURA MORTA"
OLIO SU TAVOLA
50 x 70 cm
e...


GIOVANNI PARLATO (Vico Equense, 1957)
"NATURA MORTA"
OLIO SU TAVOLA
50 x 70 cm

Entrambe le opere sono firmate Parlato G., rispettivamente in basso a sinistra e in basso a destra. Sul retro delle tavole è apposto il cartiglio con timbro e firma dell'autore.

GIOVANNI PARLATO

Si è diplomato all'Istituto d'Arte di Sorrento e ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Napoli. Sin da giovanissimo ha esposto in numerosissime mostre collettive e personali. E' uno degli artisti napoletani più apprezzati dalla critica; anche Vittorio Sgarbi ha scritto di lui.

Sua caratteristica peculiare è la profonda conoscenza dell'uso del colore, un colore vivo, pulito, vero. Il suo talento di disegnatore raffinato ne fa un ritrattista apprezzato e ricercato da collezionisti e da gallerie italiane ed estere. Suoi soggetti sono le figure e le nature morte, sempre caratterizzate da quella luce e quel colore tipici della propria terra. E' citato in molte pubblicazioni d'arte. Sue opere si trovano presso Enti pubblici e collezioni internazionali.

 
Di Admin (del 31/01/2011 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 7178 volte)
{autore=de sanctis giuseppe}


GIUSEPPE DE SANCTIS (Napoli, 1858 - 1924)
"GIOVANE DONNA"
OLIO SU TAVOLA
35 x 20 cm

L'opera è firmata e dedicata allo scultore Luigi de Luca (Napoli, 1857 - 1938), in basso a sinistra: "all'amico de Luca   G. de Sanctis"

GIUSEPPE DE SANCTIS
Napoli, 1858 - 1924
Suo padre Cesare, amico ed ammiratore di Giuseppe Verdi lo volle chiamare Giuseppe in onore del grande musicista da cui fu tenuto a battesimo. Fu incoraggiato ad intraprendere la carriera artistica dal padre che lo presentò al Morelli, iscrittosi all'Istituto di Belle Arti di Napoli fu allievo dello stesso Morelli, del Palizzi, del Ruo e di Gioachino Toma. I suoi primi saggi di scuola, una testa dal vero ed un nudo meritarono dei premi, nel 1879 vinse un concorso governativo e nell'80 ebbe una menzione onorevole. Le sue prime due opere risentono dell'influsso morelliano ispirate a personaggi di storia bizantina: Teodora presentata nell'87 all'Esposizione Nazionale di Venezia e La preghiera della sera a Bisanzio che presentata per la prima volta a Monaco e successivamente a Parigi ed a Palermo gli valse la medaglia d'argento e fu acquistata dal re Umberto I. Il De Sanctis fu a Londra a Parigi ove vi si trattenne sino al 1890. In questa città fu allievo del Gèrome e del Bouveret e dipinse per la Casa Goupil. La sua pittura risentì di queste esperienze, divenne più delicata ed elegante passando dal genere storico al paesaggio, al quadro di composizione ed al ritratto. Rientrato in Italia collaborò alla decorazione del Caffè Gambrinus con Donna fra le ortensie attualmente presso la Pinacoteca di Capodimonte, partecipò alle Promotrici napoletane dal 1882 al 1917 esponendo, tra l'altro: Mercato dei fiori a Bruxelles nel 1885; Place Blance nel 1887; Testa femminile nel 1896 e La Marna e bagnanti nel 1916. Abile incisore eseguì copie da dipinti del Morelli e riprodusse la Breccia di Porta Pia del Cammarano. Nel 1897, a Londra con il Caprile ed il pittore inglese Haitè eseguì un grosso dipinto intitolato Il giubileo della regina Vittoria, attualmente nelle Gallerie di Melbourne in Australia. Nel 1911 in occasione della Esposizione Internazionale di Roma con il Volpe ed il Vetri decorò la volta del salone centrale del padiglione della Campania, Basilicata e Calabria. Il De Sanctis è stato membro onorario dell'Arts Club di Londra, Professore onorario delle Accademie di Belle Arti di Napoli ed Urbino ed insegnante di incisione ed acquaforte presso il Reale Istituto di Belle Arti di Napoli.
(da Pittori a Napoli nell’Ottocento. Di Roberto Rinaldi)
 
Di Admin (del 14/11/2010 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2441 volte)
{autore=villani gennaro}
Marciano Arte presenta la decima opera inedita del maestro del Novecento napoletano Gennaro Villani (4 ottobre 1885 - 25 dicembre 1948).

E' un olio su cartoncino di 10x15 cm "Caprette":



L'opera è firmata in basso a destra "Villani".
 Riporta a tergo l'autentica firmata dalla figlia del maestro Ena Villani.
 Il supporto è un cartoncino di invito ad una mostra personale dell'artista Gennaro Villani alla Galleria Ciardiello di via Calabritto a Napoli che si è svolta dal 2 al 12 marzo 1925.

VILLANI GENNARO (Napoli, 1885 – 1948) Si forma all’Accademia di Belle Arti di Napoli dal 1900 al 1907 come allievo di Michele Cammarano ereditando la tradizione degli impasti e della composizione del suo maestro che aveva fondato la ricerca del "vero"su contrasti chiaroscurali e prime prove di concorso per il Pensionato Artistico Nazionale risentono ancora di questa matrice ottocentesca. Una svolta avviene quando aderisce al Comitato Nazionale Artistico Giovanile, solidarizzando col gruppo della Secessione dei 23. L'opera cardine all’esposizione del 1909 è La “Barca Rossa”, replicata più volte in diverse tecniche, a pastello e a olio, che inaugura una fortunata stagione figurativa modellata su una nuova ricerca cromatica del paesaggio, ricca di tinte chiare e luminose. Il primo viaggio a Parigi arriva nel 1909, con gli amici Raffaele Ragione e Louis Reggiori, cui seguiranno tappe nel 1912, nel 1914 nel 1915. Risale a questa fase la brillante visione notturna della capitale in “Moulin Rouge” (900. Un museo in progress. Napoli Castel Sant’Elmo) ispirata a modelli del tardo-impressionismo. L’eco del successo con le sue partecipazioni alle Esposizioni di Monaco di Baviera (1909), di Venezia (1910) e di Bruxelles (1919) rimbalza negli acquisti favoriti alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma (“Pascolo”) e all'Accademia di Belle Arti di Napoli (1917). “Sinfonia azzurra” (già al Museo di Capodimonte) fu acquistato nel 1935 dal Ministero dell'Educazione Nazionale. Tra il 1922 e il 1925 Villani si trasferisce a Lucca dove insegna Pittura e decorazione all'Istituto di Belle Arti dopo la morte di Alceste Campriani. Nel 1930 e nel 1933 due importanti mostre sono organizzate a Napoli, a cura del Circolo Artistico Politecnico di Piazza Trieste e Trento dove l'artista è socio e realizza anche una sovrapporta (“Navi nel porto”) che ricorda il progetto dei tre pannelli decorativi presentati al concorso della Stazione Marittima di Napoli, nel 1932. In questo stesso anno sposa Elisa Miele dalla quale avrà una figlia, Ena. Gli anni del fascismo accentuano la sua inquietudine non essere riuscito ad ottenere incarichi all'Istituto di Belle Arti. Achille Macchia, nel 1930, lo definisce rappresentante instancabile del paesaggio mediterraneo, egli ha un occhio vigile al passato, ma è moderno rispetto alla tradizione ottocentesca. Luisa Martorelli

 
Di Admin (del 13/11/2010 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 4113 volte)
{autore=villani gennaro}
Marciano Arte presenta la nona opera inedita del maestro del Novecento napoletano Gennaro Villani (4 ottobre 1885 - 25 dicembre 1948).

E' un olio su cartone di 13x18 cm "Paesaggio con mercatino" del 1945:



L'opera è firmata e datata in basso a destra "G. Villani 45".

Gennaro Villani (1885 – 1948). Nei primi anni di questo secolo le sole cose vive, a Napoli, in fatto di pittura, erano i vecchi maestri dimenticati: Mancini (che viveva a Roma), Migliaro (che stentava la vita dipingendo tavolette che nessuno voleva) e Pratella (che addirittura decorava scatole di dolciumi per Caflisch). Dall’altra parte, dalla parte dell’ufficialità e della legalità, stavo per dire <governativa>, vi erano invece i grandi < pompiers>, gli Irolli, i Volpe, i Vetri, che avevano in mano tutto, che controllavano mostre, premi e mercato. La vita artistica e il generale ambiente di cultura era dominato insomma dal senso del più piatto conformismo e dalla banalità eroico-nazionalistica dannunziana. Quella che era stata una grande capitale scendeva sempre più a livello di un chiuso borgo provinciale. All’Accademia di Belle Arti tuttavia, resisteva un angolo di fresca vita culturale ed era l’aula di pittura in cui, fino all’anno della sua morte (1920) insegnava Michele Cammarano. Da questa scuola di schietta osservanza naturalistica ma di alto rigore formale è uscita la generazione di pittori di cui fa parte Gennaro Villani, insieme al dimenticato Edgardo Curcio, a Eugenio Viti e a Gaetano Ricchizzi. Questi giovani pittori ebbero merito di opporsi apertamente alla dittatura dei locali, trovando ispirazione in un mondo di idee e di gusto assai più largo di quello municipale, al quale, soltanto pareva sensibile la maggioranza degli artisti ufficiali e conformisti. Il discorso vale soprattutto per Edgardo Curcio, che arricchì i temi della pittura napoletana introducendovi i sentimenti schietti della vita contemporanea, la libera osservazione del costume e il gusto della bella materia pittorica. Ma il discorso su Curcio ci riserviamo di farlo in altra sede, al momento opportuno, qui ci preme affermare che Gennaro Villani fu in tutto all’altezza di quel moto vivace e sensibile che servì ad avvicinare in qualche modo Napoli al mondo reale della cultura italiana dei primi decenni di questo secolo. Il tramite di questa felice operazione fu la cosiddetta <Secessione dei 23> una organizzazione assai confusa ed eclettica che si richiamava evidentemente alle esperienze della <Secessione> viennese di Klimt. Nel 1909 i <<23>> giovani organizzarono una mostra polemica nella quale vennero in luce le personalità di Curcio, Villani, Ricchizzi, Gatto, Uccella (altro artista totalmente dimenticato, a torto), Viti, Galante, Pansini ed altri. In quegli anni operava a Napoli Felice Casorati e la più audace espressione di libertà e di spregiudicatezza di ricerca era, per tutti, quella dell’<Art Nouveau> o del Liberty, secondo gli esempi che offriva appunto, la Secessione di Monaco e di Vienna; esperienze alle quali, direttamente ed indirettamente, i giovani artisti napoletani si richiamavano. Ma in Gennaro Villani ben presto si afferma una vena robusta e sanguigna di vedutista, secondo la tradizione non posillipiana ma della macchia porticese. Era la diretta eredità di Cammarano che il giovane artista, insieme a Ricchizzi e al primo Viti, raccoglieva con impeto e con accesa sensibilità. Villani, così, affronta il paesaggio e lo interpreta liberamente, superando di colpo i confini umilianti della illustrazione turistica. Per la prima volta un giovane, dopo Mancini e Migliaro, sapeva guardare direttamente alla realtà e trarne motivo di ispirazione lirica. In Villani il colore domina con selvaggia prepotenza e l’immagine trova in esso una forma sempre nuova e inaspettata. Sul primo ciclo dell’opera villaniana domina evidentemente la suggestione della aspra pittura di paesaggio di Cammarano: con quelle scaglie cromatiche accese e il furore della luce che modella gli oggetti con mirabile evidenza plastica. Quell’audacia spezzava il cerchio provinciale della pittura morelliana e l’estetica dei <Culurilli>, come diceva De Nittis. Ma Villani cominciò ad accorgersi che Napoli cambiava anche come natura e, sulla indicazione degli impressionisti, comprese che il paesaggio urbano, le vedute <interne> di una città possono essere motivo di ispirazione. In tal senso, del resto, operavano molti pittori di quel tempo, in Italia. Per esempio i divisionisti Lombardi, dai quali come è noto venne fuori il Boccioni dei paesaggi periferici milanesi. Villani della tecnica divisionista, in un certo momento, fu, da noi, l’assertore più convinto, con Galante anche se non abbandonò mai del tutto la pennellata libera ed impressionistica manciniana. Manciniano e cammaraniano è anche il suo gusto per i motivi di ispirazione comuni e quel modo antigrazioso di scegliere il tema di un quadro: un taglio di paesaggio o un volto umano. I luoghi comuni della piacevolezza > furono da Villani e dai suoi amici secessionisti definitivamente abbandonati, a vantaggio di una più acuta ed appassionata resa plastica e della scoperta del giuoco tonale. Certo, Villani giunse poche volte all’immagine lirica pura, alla pura trasfigurazione, come il Mancini dei paesaggi di Frosinone o il Crisconio delle prime vedute del Pascone. Ma la strada da lui imboccata fu, dal primo momento tra le più moderne, rapportata naturalmente, alle condizioni reali delle arti figurative a Napoli. In questa mostra si presentano alcune opere di Villani scelte nel vastissimo territorio della sua produzione. Questi quadri vanno da alcuni paesaggi lievi ed aerei degli anni della maturità, nei quali la pennellata ha la leggerezza e l’eleganza allusiva dei post-impressionisti, alle opere degli anni giovanili nelle quali il colore è greve e sensuale; ma in tutte avverti quel senso di affanno, l’appassionata emozione dell’artista che sta per cogliere il tipico di una realtà, sia essa un paesaggio o la figura umana, e lo coglie con l’imponderabile invenzione del tono. Crisconio, che farà tesoro di queste esperienze portandole molto più avanti aggiunge alla scoperta del tono quella, ancor più importante del valore che esso ha nella costruzione nel volume, ma Crisconio, come è noto è il primo pittore napoletano che abbia saputo comprendere il messaggio di Cezanne, mentre Villani, Ricchizzi, il primo Viti restano degli epigoni degli impressionisti ed hanno, quindi, una tematica del tutto ottocentesca. In alcune di queste opere villaniane, nelle più intense, la libertà della resa plastica ha un vago sapore espressionista il cipiglio spregiudicato di un Kokoschka; in altre la tenerezza del ricordo ammanta le immagini di una caligine rosata, remota, e sono i paesaggi di Parigi, le vedute marine con le cabine balneari allineate sulla spiaggia deserta lungo la riviera Vesuviana. Ogni momento ispirativo è legato a una reale emozione, a una sollecitazione interiore, ad uno stato d’animo lirico, per usare una formulazione crociana. Insomma, sia pure nella dimensione precisa di un talento non rivoluzionario, le opere di Gennaro Villani non tradiscono mai l’automatismo del mestiere, il tran-tran del manierista. Ecco perché anche in una selezione così ristretta puoi trovare opere che ti danno il piacevole brivido della scoperta.

Paolo Ricci.

 
Di Admin (del 12/11/2010 @ 00:00:01, in Arte News, linkato 2157 volte)
{autore=villani gennaro}
Marciano Arte presenta l'ottava opera inedita del maestro del Novecento napoletano Gennaro Villani (4 ottobre 1885 - 25 dicembre 1948).

E' un olio su cartoncino di 13x19,5 cm "Paesaggio vesuviano":



L'opera è firmata in basso a destra "G. Villani". Riporta a tergo l'autentica firmata dalla figlia del maestro Ena Villani.

Gennaro Villani (1885 – 1948) è stato un pittore italiano. Riconosciuto come uno dei più importanti Maestri della pittura napoletana, fu amico intimo di molti degli artisti napoletani dell'epoca, quali ad esempio Roberto Bracco, Salvatore Di Giacomo e Francesco Cangiullo e fu pluripremiato e recensito dai maggiori critici dell’epoca. Villani iniziò la sua carriera artistica ancora in giovane età, ottenendo ben presto i favori della critica artistica del tempo. La sua autorevolezza raggiunse l'apice quando fu invitato alle più importanti manifestazioni d'arte dell'epoca, in Italia e all'Estero. Tra le altre, ricordiamo le fiere di Versailles, Monaco, Santiago del Cile, San Francisco, Bruxelles, Milano e Napoli. Allievo prediletto del Maestro Michele Cammarano, nonché di Gaetano Esposito e Vincenzo Volpe, visse ed operò con successo tra l'Italia e la Francia. Soggiornò ed operò a Parigi dal 1912 al 1914. Durante il periodo parigino fu invitato a far parte di importanti accademie francesi, che annoveravano fra i loro soci artisti ed intellettuali del calibro di Gabriele d'Annunzio, Anatole France, Charles Perrault, Pierre-Auguste Renoir ed altri. Occupò per molti anni la cattedra di insegnamento alle Accademie di BB.AA. di Lucca e di Napoli. Fu invitato ad esporre a tutte le Biennali di Venezia del suo tempo, ai più prestigiosi "Salons" di Parigi ed alle Quadriennali di Roma e Torino. (http://it.wikipedia.org)

 
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