Importanti correnti artistiche, e nomi illustri, si affermano a Napoli sin dal Seicento, grazie anche a sovrani illuminati come
Carlo III.
L'arte napoletana assume una propria identità artistica proprio nel Seicento con alcuni importanti pittori che si fanno eredi della lezione del
Caravaggio, che proprio a Napoli tra il 1607 e il 1610 soggiorna e sviluppa la sua
arte.
Primo fra tutti fu
Carlo Sellitto, non a caso definito il primo caravaggesco napoletano: opere di quest'artista d'origini lucane si trovano disseminate in diverse chiese della città e al
Museo di Capodimonte. Fu il ritrattista più ricercato tra i membri dell'aristocrazia partenopea. Morì giovanissimo a soli 33 anni.
Ad essere maggiormente influenzato da
Caravaggio è
Battistello Caracciolo. Egli esprime appieno la grande rivoluzione caravaggesca delle tonalità della luce e dell'uso dell'ombra, abbandonando però gradualmente il realismo del “maestro” e avvicinandosi a modelli idealizzati classicisti: di lui si possono ammirare gli affreschi nella
Certosa di San Martino.
Jusepe de Ribera, detto lo "
Spagnoletto", nato nei pressi di Valencia giunse a Napoli nel 1616. La sua arte è violentemente realistica, accentuando
Caravaggio anche nelle forti ombre in cui sono immersi i personaggi dei suoi quadri (molti dei quali a tema - ma non in stile - classico, come il "
Sileno ebbro" al
Museo di Capodimonte). Solo dopo l'incontro sempre a Napoli nel 1630 con
Velàzquez, la pittura dello
Spagnoletto diventa più chiara e colorata, attirando l'attenzione del
re di Spagna che gli commissiona delle tele (oggi all'
Escorial e al
Museo Del Prado). A Napoli le sue tele di "Patriarchi e Profeti", nonché la "
Comunione degli Apostoli", si trovano a
San Martino.
Influenzato dal
de Ribera e formatosi con
Battistello Caracciolo fu poi
Massimo Stanzione,
affrescatore della
volta del Gesù Nuovo e di
San Martino e le cui "
Storie del Battista" si trovano al
Prado.
Da citare è poi
Aniello Falcone, le cui
opere si possono ammirare al
Duomo, al
Gesù Nuovo negli
affreschi della volta della Sacrestia, e al
Museo di Capodimonte: nella sua bottega si formarono altri importanti
artisti napoletani, tra cui
Micco Spadaro e
Salvator Rosa.
La pittura di
Micco Spadaro, il cui vero nome era
Domenico Gargiulo, è nota per due diversi 'cicli tematici': il primo è quello
dei paesaggi e delle vedute architettoniche, l'altro è quello della rappresentazione di eventi contemporanei, tra cui soprattutto la "
Rivolta di Masaniello del 1647" ed "
Eruzione del Vesuvio del 1631".
Salvator Rosa,
nato a Napoli ed attivo anche a Roma e Firenze, fu uno dei più grandi artisti del secolo, riconosciuto in tutta Europa. Grande innovatore con una personalità poliedrica, abbandonò il
barocco e la pittura di genere per dedicarsi alle tematiche più disparate, dalle
battaglie all'
arte sacra fino all'ultima ma fondamentale produzione di
paesaggi selvaggi e fantastici di gusto quasi romantico.
Da citare inoltre
Bernardo Cavallino, autore di tele religiose di gusto profano di grande luminosità e colore molte delle quali esposte a
Capodimonte.
Nell'ultima parte del Seicento dominano contemporaneamente - influenzandosi a vicenda - i due principali pittori del periodo,
Mattia Preti e
Luca Giordano. Il
Preti, detto
Cavalier calabrese perché nato in Calabria e fatto cavaliere da
Papa Urbano VIII durante la sua attività a Roma, esegue pitture votive sulle
porte della città dopo la
peste del 1656-1657 affrescando poi la
chiesa di San Pietro a Maiella. Di
Luca Giordano si è detto che abbia superato definitivamente la tradizione del barocco seicentesco inaugurando l'arte del secolo successivo con i suoi vivaci colori. I
suoi affreschi al
palazzo Medici a Firenze sono tra le
opere più note di questo artista esposto a Madrid, Vienna ed altre parti d'Italia e che a Napoli ha affrescato tra l’altro la
cappella del tesoro di San Martino.
Nel
Settecento l’opera di
Francesco Solimena, in parte erede del grande successo di
Luca Giordano, ha risonanza europea per la sua attenzione a creare scene coreografiche e ricche di complesse architetture. A Napoli notevoli i suoi affreschi sulla "Virtù" nella
sagrestia della chiesa di San Paolo Maggiore (1690) e le sue pale di santi quali "San Francesco rinuncia al sacerdozio" in
Sant'Anna dei Lombardi. Solo dopo la partenza di
Luca Giordano e il suo avvicinamento all'
Arcadia, la pittura assume nuove sfaccettature in un certo senso più manieristiche ma più vicine al gusto dell'epoca, tra cui
La cacciata di Eliodoro dal tempio (1725) nel
Gesù Nuovo e soprattutto gli affreschi della
Reggia di Caserta su temi più terreni e più laici.
Continuatore di
Solimena è
Francesco De Mura che si forma nella sua bottega e le cui opere risultano spesso di difficile attribuzione poiché il suo stile si accosta molto a quello del maestro.
Anche
Corrado Giaquinto (nato a Molfetta) studia a Napoli presso
Solimena, ma la sua lezione tardo-barocca viene unita alle prime correnti neoclassiche e all'intensità cromatica di
Luca Giordano.
Una grande mostra al
Castel Sant'Elmo e una in
Germania, di recente hanno dato grande risonanza all'opera del napoletano
Gaspare Traversi. Attraverso i suoi quadri può essere notata la sua attenzione ai modelli dei seicento napoletano, benché nell'ultima parte della sua vita l'ambiente più borghese di Roma lo porta ad aderire ai canoni illuministici.
La
pittura napoletana si trasforma completamente nell'Ottocento, abbandonando ogni residuo tardo-barocco e inserendosi in un più vasto movimento artistico, paesaggistico e in parte romantico, che assume connotati propri con la
Scuola di Posillipo tra il 1820 e il 1850. Questo movimento affonda le sue radici nell'arte paesaggistica di
Micco Spadaro e del tardo
Salvator Rosa. A questo va aggiunto anche il fenomeno dilagante di un'arte minore quale
la pittura di paesaggi caratteristici da vendere ai tanti turisti giunti a Napoli.
A portare alla nascita di una vera
corrente pittorica di questo tipo è
Antonio Pitloo, giovane olandese che giunge a Napoli nel 1815, dopo un soggiorno a Parigi.
Pitloo unisce tutte queste istanze pre-paesaggistiche e introduce per primo a Napoli la tecnica della
pittura en plein air ("all'aria aperta", degli
Impressionisti francesi), dipingendo in splendidi oli ricchi di luce ed effetti cromatici i paesaggi più classici della città partenopea.
Simile nel soggetto, ma piuttosto difforme nella tecnica, è invece l'arte di
Giacinto Gigante. Dopo aver studiato con
Pitloo,
Gigante unisce le nuove tecniche acquisite con le sue abilità (era anche tipografo) e crea piccoli
quadri - in maggioranza
acquerelli - di paesaggi (
Amalfi,
Capri,
Caserta, il
Vesuvio) con un taglio quasi fotografico.
La
Scuola di Posillipo vanta inoltre, artisti quali
Achille Vianelli,
Gabriele Smargiassi,
Salvatore Fergola,
Frans Vervloet,
Gustavo Witting, ma esaurisce completamente il suo corso verso il 1860, lasciando brillare altre personalità slegate da questa corrente quali tra tutti
Domenico Morelli, che operò completamente nell'
Accademia di Belle Arti di Napoli (come studente, docente, direttore e presidente) e la cui arte fonde verismo a tardo-romanticismo a modelli neoseicenteschi.
La
pittura napoletana di inizio Novecento è influenzata dalle esperienze precedenti e soprattutto dalla
Scuola di Posillipo, limitandosi ad un pittoricismo facilmente fruibile, pur in presenza di artisti di altissimo profilo tecnico ed artistico, quali
Antonio Asturi,
Gaetano Bocchetti,
Giovanni Brancaccio,
Antonio Bresciani,
Leon Giuseppe Buono,
Rubens Capaldo,
Roberto Carignani,
Alberto Chiancone,
Vincenzo Ciardo,
Luigi Crisconio,
Nicolas De Corsi,
Francesco Galante,
Vincenzo Irolli,
Ermogene Miraglia,
Attilio Pratella,
Oscar Ricciardi,
Eugenio Scorzelli,
Carlo Striccoli,
Amerigo Tamburrini,
Carlo Verdecchia,
Gennaro Villani,
Eugenio Viti. L'inizio del secolo vede comunque un gruppo di giovani
artisti napoletani, tra i quali
Eugenio Viti,
Luigi Crisconio e
Gennaro Villani, che in contrapposizione alla pittura accademica e ufficiale di quegli anni, in polemica con la pittura accademica del chiaroscuro e della prospettiva, rifiutando i temi storici e mitologici alla
Morelli, si rivolgono con occhio attento alle esperienze impressioniste e post-impressioniste di oltralpe.
Sempre ad inizio secolo anche Napoli subisce il fascino del
futurismo, soprattutto con
Emilio Notte e
Francesco Cangiullo.
Sono di questi anni altri movimenti artistici napoletani come il "
Gruppo Flegreo" che intendeva rivitalizzare la tradizione pittorica meridionale, quello degli "
Ostinati", più vicino alle esperienze artistiche del '900 o i pittori del "
Quartiere latino", accomunati da uno stile di vita e artistico bohemiènne; un caso a parte rappresenta
Mario Cortiello lo
Chagall napoletano.
Altri artisti, partendo dalla lezione crisconiana, guardando all’arte contemporanea nazionale e memori della tradizione del Seicento napoletano, hanno creato una linea pittorica alternativa e questi sono
Raffaele Lippi,
Armando De Stefano,
Elio Waschimps.
È però il critico napoletano
Achille Bonito Oliva, teorico della "
Transavanguardia" a ridare, più di ogni altro, energia e respiro internazionale alla
pittura napoletana e campana. La
Transavanguardia, con caratteristiche peculiari in ogni artista, recupera la tradizione pittorica e il genius loci, superando il concettualismo dei movimenti artistici del '900. Ben tre dei "magnifici cinque" della
Transavanguardia sono campani:
Mimmo Paladino,
Nicola De Maria e
Francesco Clemente.
Vanno infine ricordate le ricerche artistiche di
LuCa (Luigi Castellano),
Errico Ruotolo,
Carmine Di Ruggiero,
Mario Persico,
Renato Barisani,
Domenico Spinosa e
Salvatore Emblema.
(fonte:
it.wikipedia.org)