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Le Antichità di Ercolano Esposte





"Flora", da Stabiae, Villa di Arianna. (dalla collezione MARCIANO ARTE).

Le Antichità di Ercolano esposte costituiscono l'opera archeologica più importante del XVIII secolo e hanno contribuito a plasmare il gusto della cultura europea della fine Settecento e dell'Ottocento. L'opera è il primo frutto del lavoro dell'Accademia Ercolanese, fondata il 13 dicembre 1755 per volere del re Carlo (divenuto poi Carlo III di Spagna).

Sotto la Presidenza del marchese Bernardo Tanucci, l'Accademia - composta di 15 membri ordinari, il cui compito principale era quello di soprintendere allo svolgimento degli scavi studiando quanto veniva alla luce e pubblicando i risultati delle proprie ricerche - iniziò immediatamente i lavori per realizzare la pubblicazione degli oggetti rinvenuti negli scavi delle città di Pompei ed Ercolano.

I volumi si devono considerare opera comune di tutti gli Accademici Ercolanesi. Il primo volume fu redatto dal segretario Francesco Valletta e fu dedicato a Carlo III, re di Napoli. Anche i volumi successivi furono dedicati dagli Accademici Ercolanesi al loro fondatore, Carlo III, nonostante dal 1759 egli fosse divenuto re di Spagna, lasciando come re a Napoli il figlio terzogenito, Ferdinando IV, allora di soli otto anni, sotto la reggenza del primo ministro Bernardo Tanucci.

L'opera completa è composta da circa 619 (il numero varia secondo gli esemplari) grandi tavole in rame stampate a piena pagina, alcune doppie, 836 vignette tra testate e finalini e 540 capolettera disegnati da Luigi Vanvitelli e incisi da Carlo Nolli.

Per la pubblicazione delle antichità ercolanesi, pompeiane e stabiane, il re Carlo III, oltre alla fondazione dell'Accademia Ercolanese, aveva creato a Portici una scuola di incisori e disegnatori. Tra i nomi dei principali disegnatori che collaborarono alla realizzazione de "Le Antichità di Ercolano" vanno ricordati Francesco La Vega, Camillo Paderni, Nicola Vanni e Giovanni Morghen. Fra gli incisori, invece, il francese Pierre Gaultier, il fiorentino Filippo Morghen, il napoletano Francesco Cepparoli e il romano Nicola Billy.

L'opera prevedeva ben 40 volumi, ma in trentacinque anni ne furono pubblicati solo otto, ai quali si andò ad aggiungere un catalogo redatto nel 1755 dal Monsignor Ottavio Antonio Bayardi. Alle lentezze editoriali, le Antichità unirono la difficoltà della loro acquisizione per gli studiosi. I tomi infatti non furono messi in commercio ma donati personalmente dai membri della casa reale o da altissimi dignitari. Tuttavia la loro funzione di propaganda culturale fu enorme. Le pitture giunsero, seppure indirettamente, a conoscenza di un pubblico vastissimo, tanto che, solo pochi anni dopo la loro pubblicazione, erano apparse edizioni "economiche" in varie lingue e in formato ridotto, che ne riportavano ridisegnate e reincise le bellissime tavole: in Inghilterra nel 1773, in Germania con l'edizione di Murr e Kilian del 1778, in Francia nel 1780 e infine anche in Italia, nella Roma papale, con i volumi del Tiroli apparsi a partire dal 1789.




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Di Admin (del 29/07/2009 @ 19:28:39, in Stampe e Libri antichi, linkato 9347 volte)