Rubens Capaldo "alle origini della forma" di Paolo La Motta
Osservando il panorama della pittura napoletana della prima metà del Novecento, e più precisamente analizzando l’opera dei pittori come Crisconio, Chiancone, Striccoli, Brancaccio, Casciaro, è evidente, nella formazione di tutti questi autori, la matrice novecentista che, nel periodo in cui hanno operato, accomunava pittori di tutta Europa ed oltre, secondo il rapelle al ordre di Waldemar George e i “Valori plastici” di Mario Broglio.
Ma osservando l’opera di Rubens Capaldo, che appartiene ad una generazione successiva ai pittori sopra citati, Guido Casciaro escluso, notiamo subito, nella prima fase giovanile, un forte debito nei confronti di Crisconio, pittore molto amato da Capaldo. Mentre non rileviamo tracce di “Novecento” nella sua formazione, se non in qualche opera. Ora c’è da domandarsi da dove mai venisse l'amore di Capaldo per quelle forme piene e scultoree, per quella pittura dove la figura umana, il nudo, assumono un ruolo centrale nella sua ricerca, dove un nutrito corpus di disegni rappresenta il cuore della sua poetica, esplicata da un fare monumentale. Leggendo alcuni cenni biografici sulla formazione dell’artista, scopro un elemento che credo determinante per spiegare quel gusto per la forma piena: è il termine “crastularo”, ovvero ceramista.
L’approccio all’arte del giovane Rubens, avviene attraverso l’uso della creta, materia che conosce ben prima del colore. Il lavoro sulla ceramica è principalmente un lavoro sulla forma: il termine “forma bombata”, che suona così scultoreo, è, tutto sommato, legato alla forma dei vasi (a tal proposito si guardino certe sculture di Maillol). È l’amore giovanile dell’artista per la linea curva, per la forma plastica, per l’ellisse, che darà luogo a quel linguaggio personale di Capaldo maturo. Ammirando gli straordinari nudi del maestro, prima di analizzare il linguaggio della pennellata che merita sicuramente uno studio a parte, noto subito qualcosa che ha poco a che fare con la nostra pittura napoletana, cioè quel modo tipico del Manierismo di allungare i corpi e rimpicciolire le teste (proprio di un Pontormo e di un Rosso Fiorentino) come anche la resa di incarnati lividi, molte volte ottenuti con toni freddi di straordinaria raffinatezza.
Potremmo paragonare la ricerca di Capaldo sul Manierismo a quella dello scultore Emilio Greco che in scultura sperimentava in quegli anni tale linguaggio.
Questo avvicinarsi al Manierismo è nato sicuramente da un’esigenza interiore, legata, come dicevo, alla sua formazione di matrice scultorea che consente di focalizzare il proprio lavoro sulla forma, essendo peraltro padrone di molteplici tecniche e profonde conoscenze di mestiere. La pennellata, come dicevamo, ha un forte rapporto con l’opera di Crisconio, il quale riesce a coniugare i toni cupi ereditati dal Seicento e appresi dall’opera del Cammarano, con una visone moderna e costruttiva che passa attraverso l’opera di Cèzanne. Capaldo capisce che la pennellata, il gesto nervoso e costruttivo, sono il compimento della sua ricerca sulla forma pittorica. Pennellata che risente dell’esperienza del ceramista, la materia brillante e luminosa di certe opere mature che fanno pensare alla lucentezza degli smalti tipiche delle maioliche. In questo modo il maestro non si accontenta solo dell’aspetto costruttivo e luminoso (la famosa sintesi cezanniana di forma-colore-luce), ma altri aspetti di natura simbolista e visionaria accompagnano il suo lavoro, dando un’originale impronta alla sua ricerca. In alcuni dipinti il fondo sembra compenetrare con i volumi che compongono la figura, andando a sfaldare i piani, creando un’atmosfera luminosa, suggestiva ed unica. Dunque Capaldo è un artista ricco di suggestioni, con una formazione del tutto originale e con una personalità complessa e raffinata. Grazie a queste caratteristiche, la sua pittura ha sicuramente un respiro europeo, conferma indiscutibile della nostra ricchezza culturale, che tante volte la nostra città purtroppo nasconde sotto l’ombra del provincialismo e dell’ignoranza.
(Paolo La Motta)