Pubblicata in data 12/09/2005 "La Repubblica di Portici" Spesso capita che, cercando momenti tranquilli e rilassanti che la vita cittadina quasi più sa offrire, ritorniamo con piacere indietro nel tempo accompagnati da ricordi personali, foto e, nel nostro caso, dipinti. Siamo d’accordo che essere nostalgici è un atteggiamento raramente produttivo, ma è altresì certo che ad osservare un quadro che ritrae, con poetica semplicità, un luogo dove oggi sorgono edifici che fanno da pareti a fiumi di automobili si resta un po’ confusi. Si arriva a pensare che l’immagine dipinta sia solo frutto della fantasia dell’autore, talmente siamo abituati a questa scenografia cittadina, così caotica, che oltretutto ci allontana dal comprendere gli errori che possono essere stati commessi nel corso degli anni, dell’edificare scriteriatamente. E perciò non sarebbe certo una cattiva idea poter organizzare delle mostre espositive a carattere descrittivo per ricordare che anche questa inefficiente e caotica cittadina ha fatto da sfondo alla crescita di movimenti culturali interessanti di cui si resero protagonisti artisti di influenza internazionale. È il caso di Giuseppe de Nittis il quale, allievo dello Smargiassi presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli ed in seguito espulso dalla stessa per motivi disciplinari, si stabilì a Portici e insieme agli amici Marco de Gregorio e Federigo Rossano fondò nel 1864, sulle rovine di Ercolano, la Scuola di Resina, la cui sede fu successivamente trasferita nel semi-abbandonato Palazzo Reale di Portici, divenendo così nota anche col nome di Repubblica di Portici, appellativo dato in senso derisorio da Domenico Morelli, esponente di spicco della pittura napoletana e direttore dell’Accademia. È da precisare che il periodo artistico napoletano dell’epoca vedeva la predominanza della “scuola” di Palazzi caratterizzata nei primi anni dello svincolo borbonico da una facilità di reazione all’accademismo del Morelli permettendo in tal modo una nuova e più libera ideologia artistica. Più che di Scuola è opportuno parlare di un proficuo incontro di artisti che ebbero in comune alcuni ideali, come il rifiuto dell’Accademia e il recupero del naturalismo, inteso non solo come fatto puramente estetico, ma sorretto da una istintività e creatività che superasse la “cultura della tecnica” e si orientasse su posizioni più avanzate. Questa nuova individuazione di valori si avvicinava alla Scuola Pergentina, strettamente collegata al movimento artistico più ampio dei Macchiaioli. Se Cecioni, Rossano e soprattutto de Nittis ebbero una carriera decisamente più importante, de Gregorio, il più anziano del gruppo rimase alquanto in ombra, offuscato dallo sfavorevole paragone con gli altri, non certo per demerito. Resta il fatto che la pittura e l’opera di questi artisti conserva infatti l’intenzione primaria che si manifesta nella capacità di rendere pittoricamente l’aria, il colore e la serenità dei luoghi ritratti. Queste intuizioni, che secondo la scuola di Resina dovevano passare per l’istinto del pittore fecero da supporto alla tesi che in Francia, dove il de Nittis si trasferì, diede vita all’Impressionismo. A Portici come a Napoli, quindi, gli artisti della fine dell’Ottocento avevano sì in germe ciò che sarebbe diventato il grande movimento artistico impressionista, ma, nel periodo post-borbonico, sia la cultura che i grandi mecenati d’arte non erano pronti a rischiare nuove avventure. Sulla base anche di simili precedenti esperienze si può condividere il fatto che oggi una città può e deve, come sintomo di capacità di crescita, orientare promuovere associazioni, manifestazioni che diano valore alle esigenze dei cittadini, tenendo presente i valori rappresentati dalla cultura. E per cultura ci piace far riferimento a quella rinascimentale, foriera di nuovi e illuminanti momenti di arricchimento e di sviluppo per l’animo umano, non di certo quella molto in voga oggi dell’ipocrisia, dei grandi progetti che partoriscono misere realizzazioni. Vivendo appunto nel Cinquecento avremmo quindi simpatizzato più con Erasmo che con Machiavelli; comunque, sebbene tempi e uomini fossero diversi, i problemi erano simili agli odierni: consoliamoci così, in siffatta compagnia. Giuseppe Zollo |