Note descrittive:
Nato nel 1968 a Portici, si diploma all’istituto d’Arte. Dal 1990 al 1995 si forma professionalmente come restauratore presso lo studio di Umberto Piezzo. Nello stesso anno inaugura la sua personale attività nella Galleria Umberto di Napoli. Suoi gli interventi su tele di Luca Giordano, Francesco Solimena, Andrea Vaccaro. Numerosi i restauri compiuti per conto delle Soprintendenze di Arezzo e Urbino. Tra i lavori più importanti, l’intervento sulla scultura di Sol Lewitt nella metropolitana di Napoli e il monumento ai caduti di Piazzale Tecchio.
Tiziana Cozzi scrive di lui: “Presenze di dentro”. (“La pittura è una lenta risalita d’insoddis fazioni. Magnifiche”. Franz Kline). La confidenza con la materia e gli impasti di colore gli ha tracciato la strada. La passione per un periodo artistico, l’epoca a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ne ha disegnato il gusto. L’emotività interiore ha costruito l’ispirazione, introducendolo al mezzo espressivo della pittura. Le opere di Francesco Manes privilegiano il tratto grafico e soprattutto il colore. Con la tecnica della spatola metallica, il pigmento viene spalmato con forza sulla carta e diventa elemento deciso a interpretare l’energia emotiva dirompente che dà il segno a tutto l’estro.
La sofferta meditazione che ripiega lo sguardo verso l’interiorità, è il nucleo attorno a cui si sviluppa l’attività del giovane artista napoletano. «Il mio lavoro ha il titolo di presenze. Per presenza, intendo le esperienze che sono rimaste nell’inconscio». Un trionfo di colori, dalla gamma del rosso ai blu di prussia, fino al giallo e alla purezza del bianco. Per il nero, il discorso è a parte: attraverso l’oscurità di questa tinta, si rappresenta uno schermo da cui fuoriescono figure simboliche. Il fiume nero, versato sul foglio di lavoro, contrasta con il getto di colore che emerge a malapena dalla distesa che sovrasta l’opera e rimanda ad un’interiorità che impone una difficile riflessione. Ne è esempio Specchio, in acrilico applicato su vetro, o Vestale, che raffigura una donna urlante con le braccia distese in atto implorante, che emerge dal buio. «Come se fosse per un attimo affiorata da un vortice che si prepara a risucchiarla nuovamente verso un infinito sconosciuto. Il cono d’ombra è dietro di lei, in agguato». La visione del mondo e del proprio interagire con l’umanità influenza il rapporto di Manes con i colori, che si astraggono dalla realtà e diventano simbolici così come la pressione esercitata dalla spatola metallica sulla carta indica la forza della sua ispirazione.
Le immagini che si ottengono sono di una raffinata eleganza, soggette alle proprietà fisiche degli acrilici, intraviste nelle sinuose forme che emergono in trasparenza. Come nella pittura di Franz Kline, l’architetto in bianco e nero, da cui Manes trae spunto, tutta l’ispirazione viene espressa con il gesto, senza nessuna premeditazione, con la convinzione che «se significa molto per te, mentre lo fai, il significato resterà», come diceva l’artista americano. L’opera di Manes è molto vicina al nucleo concettuale dell’informale gestuale e, come nel movimento nato negli anni Cinquanta, nega una conoscenza razionale della realtà, rappresentando un universo in cui non è possibile porre alcun ordine intelligibile né interpretativo. Un saldo principio che, invece, tiene insieme l’attività artistica è l’esaltazione dell’inconscio, a cui viene dato un ruolo primario. Fonti d’ispirazione anche Alberto Burri, artista dell’informale europeo, soprattutto per il valore espressivo dei colori e Anish Kapoor, per la chiarezza delle forme materiche.
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Atre opere:
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