Note descrittive:
Dopo gli anni di guerra aveva potuto tardivamente iscriversi all’Accademia di Belle Arti, dove si sarebbe formato come scultore nel solco del magistero di artisti quali Achille D’Orsi e Luigi De Luca, conseguendovi il diploma nel 1922 e iniziando una intensa attività come scultore in marmo e bronzista, che si protrarrà con successo per venti anni. Nei mesi convulsi che portarono al tragico epilogo l’avventura bellica voluta dal fascismo, Sannino prenderà in mano pennelli, colori ad olio e tele dando il suo addio definitivo alla scultura. E alla pittura resterà fedele per il trentennio successivo.
Al suo esordio come pittore, un sicuro punto di riferimento per lui fu certamente il magistero dell’amico Luigi Crisconio, che proprio a Portici aveva dedicato alcune tele di particolare suggestione.
Che un artista attivo nel campo della statuaria passasse all’attività pittorica non era di per sé un evento raro. A rendere, tuttavia, peculiare e alquanto insolita la scelta compiuta da Ettore Sannino è il fatto che l’abbandono della scultura e la complementare passaggio alla pittura risulteranno nel suo caso scelte definitive e irreversibili.
La pittura aveva enormi vantaggi, in particolar modo per la relativa “facilità” tecnica e per la “leggerezza” e duttilità espressiva, oltre che per l’economicità di tempi e costi realizzativi.
Alfredo Schettini: “[…] pare che Sannino voglia rinunziare del tutto alla scultura, che generalmente è arte funebre o togata, e che costituisce un’ingombrante eredità di marmi, bronzi, gessi e forme e pezzi anatomici. Sannino pittore, dunque, è più a suo agio, perché, francamente, egli dipinge con più trasporto ed entusiasmo, assaporando le delizie della freschezza del colore con rinnovellata foga giovanile”.
Nel ‘50 ad Ettore Sannino viene offerta l’occasione per un esordio “ufficiale” come pittore e decoratore nella sua Portici, con l’incarico di affrescare l’interno della principale chiesa cittadina, per la quale un ventennio prima Sannino aveva realizzato la ricca decorazione scultorea della facciata.
Al “Roma” Piero Girace si esprimerà così: “Lo scultore Ettore Sannino, nostra vecchia conoscenza, si è dato –lo sanno ormai tutti- anima e corpo alla pittura, arte più consona alla sua sensibilità ed al suo temperamento di sognatore, che cerca quasi sempre, anche nella realtà più cruda, motivi lirici o elegiaci. I colori gli consentono di esprimere in modo più immediato i suoi stati d’animo, le sue impressioni, le sue emozioni di fronte al vero”.
Ettore Sannino esporrà un po’ in tutta Italia, per poi tornare ad esporre per l’ultima volta a Portici nell’ottobre del 1971.
Raffaele Riccardi scrisse: “[…] La solarità che si legge sulle tele del Maestro di Portici non è tanto quella che balza dalla natura dei magnifici luoghi che lo circondano, quanto quella che il pittore porta all’interno: la serenità, la luminosità, la poesia ariosa il pittore l’ha dentro di sé, ed è ovvio che la produzione di Sannino non può non proiettare quest’intimo sentire. […]. La tradizione pittorica è stata filtrata da Sannino attraverso una costante tensione culturale, che alla vecchia matrice ha lasciato ben poco”.
Nell’estate del ’73 accade un evento che peserà fortemente sulla vita e sulla produzione di Ettore Sannino: vengono rubate una ventina di opere su tela, portate via dal suo studio di via Roma, mentre l’artista si accingeva ad una nuova avventura espositiva a Pescara, su invito della locale Accademia degli Abruzzi.
L’ultima personale del nostro pittore sarà quella allestita a Napoli nel maggio del 1974, presso la galleria d’arte “Lo Spazio” al Vomero.
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Atre opere:
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