Note descrittive:
Filiberto Menna (“Il Mattino” 27 aprile 1969): Lippi espone alla S. Carlo.
È difficile sottrarsi alla tentazione, quando si parla della pittura di Raffaele Lippi, di parlare del pittore, di tentarne un ritratto. E non è una tentazione indebita; poiché Lippi ha un’idea della pittura come diretta partecipazione di sé, come testimonianza in prima persona. Sicché i due termini, la pittura e l’uomo, appaiono strettamente uniti, come in pochi altri artisti. L’ho conosciuto solo pochi anni fa, lui che lavora a Napoli da tanto e che è stato uno dei protagonisti delle vicende artistiche napoletane, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Abitava (non so se vi abita ancora) in una sorta di eremo, su una collina, in una casa fatta di grandi stanze antiche, che davano un senso di chiusa solitudine e di isolamento. Fu un incontro fatto di cose presenti, ma più di ricordi, di ciò che era stato fatto, qui a Napoli, da lui e da pochi amici per scuotere la pesante cappa della tradizione. Parlammo del Gruppo Sud, che fu una sorta di napoletano Fronte Nuovo delle Arti, in cui si ritrovarono insieme, per un momento artisti diversi, che avrebbero poi preso strade diverse. Di quegli anni sono ormai note le Macerie, quadri dipinti con un colore infuocato e aggressivo, aspri e terribili, ma con improvvisi abbandoni. Proprio come lui. Lippi, scontroso e dolce. Anche questi quadri di oggi, esposti alla S. Carlo, conservano qualcosa di quegli umori: anche ora Lippi dipinge per parlare in prima persona, crede fermamente ed ostinatamente alla pittura come a un modo di essere presente in mezzo agli altri, di dare una testimonianza di sé e un giudizio sulle cose. Vitaliano Corbi, nella presentazione al catalogo, ha colto bene questa ostinazione di Lippi, questo vizio della pittura. «La scelta e la capacità d’intervento dell’artista non possono compiersi che all’interno di quel momento privilegiato e conclusivo che è la sua opera; in essa la drammaticità del reale non ha che lo spessore di un’ombra». Perciò Lippi è ancora un pittore-pittore, che crede solo al presente assoluto dell’opera, senza farsi tentare dalle profezie e dalle illusioni consolatrici.
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Atre opere:
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