Note descrittive:
Pittoricamente, Gennaro Cuocolo può dire di essersi fatto da sé: dopo un iniziale approccio accademico alla scuola libera di nudo, a Napoli, prese a lavorare da solo con instancabile tenacia, seguendo il proprio istinto, lontano da scuole e da correnti (oggi vive ed opera a Roma, ove è titolare di figura disegnata al liceo artistico). Spinto da una inquieta sete di esperienze, si trasferiva per qualche tempo a Milano, poi visitava la Francia, la Spagna, la Svizzera, esprimendo le sue emozioni in una interessante serie di composizioni e paesaggi. I suoi amori giovanili furono certamente Mancini e Cammarano: alla realtà e alla tradizione napoletane da essi filtrate sono infatti legate le origini della sua pittura, la quale ha poi compiuto un lungo percorso che l’ha portata ben lontano da quella partenza realista, quasi potremmo dire su una sponda opposta, ai limiti dell’informale. E in questa progressione — coerente, motivata, costante, senza soluzioni di continuità — c’è tutto il senso del divenire e dello svolgersi razionale di un fare pittorico le cui componenti si identificano in termini apparentemente antitetici ma in realtà complementari, tali da indurre una sintesi degli opposti: realtà/fantasia, limite formale/superamento dell’immagine, sì che i confini di quest’ultima risultano frantumati e interrotti, consentendo all’espressione artistica di realizzarsi al di là della «cosa vista», e alla fantasia di attualizzare poeticamente i contenuti significanti che vi latitano allo stato potenziale. Sul piano tecnico, ne è derivata una graduale attenuazione cromatica che rende soffusi i contorni degli oggetti e che postula raffinate scelte tonali, applicate di volta in volta a una tematica che spazia dalla figura al soggetto paesistico, dalle composizioni miste alla natura morta. A proposito di quest’ultima, è da sottolineare l’impegno (che desterebbe meraviglia in chi non conoscesse il temperamento dell’uomo) col quale Cuocolo affronta questi temi solitamente privi di suggestione e che, nel suo caso, enunciano la capacità di trarre da parva materia compiuta opera d’arte: «è in fondo - nota Renato Civello - una proiezione lirica della sua spiritualità, che lo porta a scoprire la segreta bellezza che palpita sotto il divenire fenomènico: l’entusiasmo sincero di un neo-primitivo trasportato in un clima di diversa maturità culturale». In tal senso, altra importante indicazione sui raggiungimenti stilistici dell’artista è data dai disegni, nei quali egli sembra talvolta rinnovare l’antica impetuosità del pittore alla ricerca di un proprio ambito operativo e di un proprio linguaggio espressivo («un pittore degno di associarsi, sul piano di una qualifica ufficiale, alla responsabile creatività di un Ciardo o di un Brancaccio»), e nei quali il rigore del tratto è alleggerito da una ricorrente ariosità e la linea armonizza con l’effondersi della macchia. Ma anche qui, nonostante la concisione e l’apparente aridità del mezzo grafico, aliti la stessa poesia che ispira le grandi composizioni e che è indice di un magistrale fervore.
(Alfredo Schettini)
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Atre opere:
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