Note descrittive:
“Baroque” e simbolismo dopo la lezione del Mondrian. 1988. (Antonio Uliano)
La formalità religiosa, dove, cioè, il potere spirituale si prostituisce col potere temporale, ha costituito un proscenio sulle tele del Buonoconto per il quale tonache e porpore sono sfilate nel parossismo stucchevole ma non astratto dell’equivoco: assieme all’insania del potere civile, dove l’abbrutimento raggiunge vertici da capogiro.
Rifuggo dalla ripetizione — repetitio semper iniqua — di sottolineature ormai fruste per evidenziare piuttosto come non abbia incontrato nella mia pur attenta e scrupolosa consultazione, che Mario Buonoconto, già nella sua primaria preparazione e studio della Storia dell’Arte contemporanea, abbia saputo cogliere la lezione del Mondrian della semplificazione dell’ossatura dell’immagine fino a raggiungere una articolazione spaziale, come essenza formale dal rigore allegoricamente astrattista. La superficie globale quadrata o rettangolare fratta in tanti quadrati o rettangoli, insomma, diventa una superficie zonata in modo che ciascuno spazio diventi spazio sociale e spazio neoplastico: ma per accogliere una figurazione allegorica e simbolistica come se, ricorrendo alle tecniche scenografiche, ciascuna articolazione spaziale zonale diventi luogo deputato alla narrazione barocca e ritorcendo la caratterialità «baroque» attraverso le figurazioni che, sul condotto cromatico vivo e vini-lento supportano significante e significato del polilinguismo tematico.
Altrove ho letto di qualche indicazione di espressionismo: a valutare le opere del Buono-conto, però, (ma debbo onestamente dichiarare di non avere conoscenza totale della sua numerosa produzione che non sò quantificare) mi sembra che non valga la pena di soffermarmi su attribuzioni correntistiche almeno in questa sede, aperta ad ospitare più un pensiero indicativo della sua filosofia operativa che un indotto alle sue ascendenze didattico -magistrali. E tanto menziono ed affermo perché l’importanza del narrato travalica, a mio avviso, ogni altra considerazione tecnica: importante certamente quanto si voglia ma non in subordine all’insieme della contenutistica, che ad una indagine «desquarnatoria » — mi si passi il termine — offre la grammatica delle emozioni subite e patite dal Buonoconto e da lui verificate al museo della conoscenza prima che ordisse le figurazioni. Anzi mi par giusto teorizzare che nel Buonoconto l’arte debba essere figurativa veristica e non debba volgersi all’informale o al parainformale, rispondendo alla creazione come fantasia e alla fantasia come energia creativa in quanto traduttrice dell’astratto pensiero in pensiero descritto. Così si spiegano le articolazioni delle tappe del suo percorso artistico, dai personaggi regali in cui la satira prevarica lo psicologico, a quelli attori della pagina inquisitoria, in cui la caricatura prevarica la storia nel suo corso e nei suoi ricorsi; dalle coatte Velate, in cui il patetico sovrasta la laconicità, alle azimate principesche del Sansevero, dove la voluttà ha il sapore della beffa e la sconsideratezza dell’ipocrisia; dal Jolly al Paggio alla Veggente; nelle nature morte, o, piuttosto, nel loro prorompere verità di natura con armonie tonali pressocchè sinfoniche (senti la musica del Petrassi). A proposito di natura, una fondamentale lettura mi sembra richiedano le opere dell’ultimo biennio, potrei definirle topicamente del periodo ponziano (isola di Ponza), dove ha più evidenti trasporti di richiamo dal Barocco, quel Barocco squisitamente napoletano, specie per la presenza a pieno campo di un amorino alato vindice, organizzate a mo’ di dittico dagli elementi sovrapposti, dove mi sembra il Buonoconto abbia trovato l’elemento didattico ed indicativo delle aspirazioni quando pone in ascetica evidenza i megaliti affioranti dalle acque del Tirreno e titanicamente proiettati verso l’indaco. Ma per lo più le divisioni degli spazi, come suddetto, tendono ad una contrazione che intendono assolutizzarne uno, centrale ed a mo’ di cartiglio, già precedentemente presente come idea ed organizzato in una linguistica diversa, ora focendosi assunto del divenire reale ed animistico astratto per concreto, come detta il bianco brillante, onde si significa, e, qua e là, qualche simbolo allegorico che vi è segnato.
Mi sembra superfluo dire che il simbolo del putto rifugga dall’essere messaggero d’amore nel senso antico e piuttosto potrebbe leggersi come un attributo di Erato, musa della poesia lirica: d’altronde è nella condizione deontologica dell’arte, che il Buonoconto fa sua, l’aspirazione alla migliore poièsis come costruzione del divenire del progresso umano sia attraverso la parola che attraverso l’immagine.
E l’Uomo contemporaneo, che, a proposito dell’arte nella sua polimorfia, ha saputo costruirsi un aspetto della propria cultura civile, che ha chiamato Civiltà dell’Immagine, esalta l’immagine al punto da coinvolgere nel suo divenire e caratterizzare aspetti che scientificamente aveva provato appartenere al mondo primitivo propriamente detto o al mondo antico e medio per estensione. Non escluso financo il mondo dell’infanzia e dei precordi della prima giovinezza: e mi riferisco specie al mondo onirico. E spiego così quello che ho sottolineato essere il comportamento « baroque » capriccioso e scanzonato di un popoio o dell’Uomo sociale contemporaneo, al quale eufemisticamente quanto liricamente Mario Buonoconto rende la pariglia a specchio del grande mattatoio, che è la commedia umana.
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Atre opere:
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