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Note descrittive:
Vittorio Sgarbi: "Emblematico Emblema".
La poesia della cultura del ‘900 attraverso il gusto di un collezionista con la scelta di Picasso e Botero (Picasso, l’artista che ha dato nome a un secolo e l’altro artista, Botero, che lo ha chiuso), è sembrata una particolare attrazione anche per la raccolta di pittori che vanno da Magritte a Campigli a Picasso a Sughi, a maestri da Rotella a Emblema con una varietà straordinaria, che sono il segnale della curiosità del collezionista. L’idea di un pittore che porta il suo nome e quello del suo paese in tutto il mondo, è il segnale che l’arte, in realtà, ha un primato che è nella consapevolezza e nella sensibilità di ognuno. Dentro di noi c’è una necessità di bellezza che non può in nessun modo essere compressa, che si manifesta anche per istinto. L’uomo, dentro di sé, ha una dimensione creativa, di liberazione di emozioni, di sentimenti. Mentre in alcuni rimane soltanto una cosa privata, uno sfogo, negli artisti diventa qualcosa che nasce egoisticamente per dare a loro stessi la soddisfazione di esprimersi, ma che gli altri, nel guardarla, sentono come una cosa propria.
Se pensiamo a quanta arte, dall’epoca greco-romana ai nostri giorni, da Giotto all’Arte Povera, si sia posta come obiettivo di essere immagine di un concetto, comprendiamo come nessun cognome meglio di Emblema potrebbe essere più adatto a un artista. Se altri hanno dovuto cercare una ragione per la propria arte, a Emblema sarebbe potuto bastare leggere il suo cognome. L’arte di Emblema non poteva non essere una nuova emblematica. Vuole infatti individuare un linguaggio in cui viene dato corpo visibile a un’intuizione che si muove nel terreno dell’etereo, concepibile nella mente prima che nei sensi. Senza questo, l’intuizione rimarrebbe qualcosa di vago e astratto, intraducibile in termini che permettano una comunicazione “forte” e diretta, di alto coinvolgimento emotivo, una trasmissione di nozioni e di sensazioni come la parola potrebbe fare solo in parte.
Ma emblematica, dal punto di vista etimologico, non è solo la sostanza alla base dell’arte di Emblema. Lo è anche nella struttura espressiva adottata dall’artista nelle sue opere, nelle tempere su juta in cui corpi planari, grumi filamentosi di segno e di colore, sfumati e ancora memori dell’esempio di Rothko, si addensano al centro della composizione. Cosa ha fatto, Emblema, se non realizzare degli emblemi nel senso greco del termine, ossia inserire un elemento in uno più vasto, un’isola in un mare, una cifra visivamente caratterizzata all’interno di un campo più neutro e indefinito con il quale stabilire un rapporto dialettico allo stesso modo di contrasto e di integrazione. Cosa ha fatto Emblema, se non ideare degli emblemi, delle rappresentazioni simboliche di un’arte come la sua che è già per sua natura emblematica? Emblema, insomma, è un concetto, arte dell’arte, nel momento stesso in cui si fa arte: Magritte avrebbe trovato esaltanti queste corrispondenze, questi continui rimandi fra nomi e cose, fra apparenza e senso, concessi solo a un artista che sia chiamato nello stesso modo della sua arte. Terzigno è il paese di Emblema, alle pendici del Vesuvio, all’estremità della vecchia Pompei, sorto nel Settecento lungo gli spazi aperti dalla lava nella grande eruzione del 1631. In questo senso, pur essendone stata in antico la sua periferia, come dimostrano i resti archeologici di alcune ville romane, Terzigno potrebbe considerarsi quasi una “anti-Pompei”: se lì il vulcano ha determinato la morte, qui ha determinato la vita. Non solo perché Terzigno è sorta nello spazio creato dalla lava, e le cave di Terzigno fornivano il basolato per i lastricati delle strade e le piazze di Napoli, elegantissime. Inoltre la terra lavica permette ancora di produrre vino e olio di ottima qualità, fra i migliori della zona.
Terzigno e Pompei sono più vicine di quanto non si pensi, come periferia di Pompei, anche l’agglomerato romano che sorgeva nel luogo dell’attuale Terzigno è stato devastato dall’eruzione del 79 d. C.; quando poi Pompei è ritornata a vivere nella memoria dell’Occidente in modo ancora più glorioso di quanto non fosse stato diciassette secoli prima, recuperata dalla cenere che l’aveva preservata miracolosamente, è stato il momento in cui anche Terzigno, nuova figlia del vulcano, ha iniziato a essere costruita. Nella vita e nella morte, Terzigno e Pompei hanno quindi conosciuto storie diverse ma parallele.
Terzigno, questo luogo così speciale per storia e tradizione, è il paese dove Salvatore Emblema è nato e vive stabilmente. E’ il paese da cui diresti che Emblema non si sia mai mosso, come Morandi dalla bolognese Via Fondazza; e invece Terzigno è stata una conquista progressiva, impegnativa, faticosa, la tappa finale di un percorso, artistico, intellettuale che l’ha condotto lontano dall’ombra del Vesuvio, a Roma, in Francia, in Inghilterra, a New York fra il 1956 e il 1958, in anni in cui anche per gli artisti era certamente più difficile muoversi di quanto non sia oggi.
Solo dopo aver tanto girato, solo dopo aver varcato i confini della provincia per assaporare l’aria dei principali centri dell’arte nazionale e internazionale, Emblema si è sentito maturo per poter stare, a Terzigno. C’è qualcosa di antico e di moderno in questo suo atteggiamento, un po’ da Ulisse dell’arte, che concepisce il ritorno alle proprie origini come una necessità; ma c’è anche la coscienza che il mondo contemporaneo, mondo della comunicazione e della cultura globale, permetta oggi di stare al suo centro anche in un appartato paese della cerchia vesuviana. E’ il mondo che è entrato dentro di noi, nelle nostre abitudini, nelle nostre riflessioni, senza che ci sia più bisogno di inseguirlo. Terzigno può essere benissimo un suo osservatorio, uno degli innumerevoli osservatori possibili, se si possiede una sufficiente esperienza del mondo per poter credere che ciò sia possibile.
Se questo è vero, vuoI dire che non esiste più un centro da cui tutto parte e attorno al quale tutto si muove, una Roma antica, una Parigi, una Londra, una New York. Emblema lo ha capito non oggi, che certe valutazioni sarebbero più facili, ma trenta o quaranta anni fa. Tornando a vivere in provincia, facendo quindi un gesto di apparente modestia, ha fatto quanto dì più avveduto e innovativo potesse fare. E’ solo a Terzigno, a contatto con le proprie radici, con la propria tradizione storica, con i propri affetti, che Emblema poteva portare nel modo migliore la sua esperienza del mondo, spirituale e artistica; solo a contatto con la luce, i sapori, la natura, le materie della propria terra, Emblema poteva elaborare le conoscenze effettuate altrove, l’Informale nazionale e internazionale, l’Action Painting, l’Espressionismo Astratto, per dar vita a un personale discorso artistico che si confrontasse non solo con il mondo, ma con un altro riferimento indispensabile per la propria identità espressiva, un altro universo da esplorare, il proprio io.
Terzigno è certamente il centro dell’anima di Emblema, nei suoi significati culturali e emotivi piuttosto che geografici. Nella sfera psicologica di Emblema, Terzigno è non solo una dimensione spaziale integrale, allo stesso modo centro e periferia, luogo e non-luogo, il passato, il presente, il futuro. Un passato che risale a Pompei, a un’arte sapiente e segreta, specchio di una civiltà che, come sembrava a Nietzsche, ci appare dedita a qualcosa che ci è forse sfuggito per sempre, un istintivo, naturale culto dei sensi; un’arte della cui memoria l’Occidente non potrebbe non avere, ancora così ricca di stimoli per un artista moderno. Un passato che in tempi più recenti riporta da Pompei a Terzigno, alle botteghe artigianali, alla lavorazione delle materie vulcaniche che tanto peso hanno avuto nelle sue tradizioni. Il presente è lo sviluppo di questi motivi secondo un senso aggiornato, la ripresa di visioni artistiche, di concezioni del colore che si rifacciano agli esempi di Pompei, alle tecniche e alle tradizioni di Terzigno, ma sempre guardando avanti per fare qualcosa di nuovo, perché non c’è niente di veramente nuovo se non si rielabora in modo originale e progredito ciò che è stato fatto in passato, senza però mai dimenticarsi di essere uomini moderni, dotati di una sensibilità estetica.
Potremmo anche sottovalutare questi aspetti, se poi non ritrovassimo nell’arte di Emblema la stessa dimensione spaziale e temporale che egli attribuisce a Terzigno. Spazi indefiniti, ma ugualmente assoluti nel darsi come negazione della normale tridimensionalità prospettica, fisici nel loro essere determinati da varianti materiche e cromatiche, anche attraverso sovrapposizioni di piani al limite dell’impercettibile, spazi mentali nella loro concezione, strettamente artistici anche nel loro essere puramente sensoriali, come se astratto e concreto finissero per trovare un punto di congiunzione, un emblema - ritorna ancora la parola-chiave - come loro elemento di mediazione. All’interno di questi spazi assoluti in attesa di definizione, privi di ogni possibile contraddizione interna, galleggiano forme biomorfe, ora segni cespugliosi e reticolari, ora strutture contraddistinte da una calibrata alternanza di vuoti e pieni, nelle quali il segno cerca l’identificazione nel gesto e nell’espressività diretta del colore, secondo quanto indicato dalla lezione dell'Informale. Sono forme rispondenti a un generale principio di natura, ma che poi sorprende di non ritrovare al di fuori del repertorio di Emblema.
In realtà sono forme di una natura possibile, verisimile, ma non esistente lontano dall’universo creativo di Emblema. E’ una seconda natura, parallela a quella reale, reinventata, recuperata secondo il modello fornito dagli antichi, riscattata dagli oltraggi dell’uomo moderno, fatta propria perché interiorizzata, secondo un proposito che a Emblema era chiaro fin dalle opere a feuilles collées come dai suoi tessuti artificialmente sfibrati, intaccati nella loro integrità, resi irregolari, imperfetti, rivelatori di una sensibilità materica che esprime le stesse corrispondenze emotive che condivide con Burri, Fontana, Tapiès, Rauschemberg, anticipatrici di molte istanze tipiche dell’Arte Povera. Anche la tecnica di Emblema (si pensi alla tempera vulcanica, ad esempio) diventa natura reinventata, materia prima riscoperta, studiata, sperimentata, fino a diventare parte integrante dell’espressione, motivo portante della cifra stilistica. Natura su natura per ricavare una natura “altra”, lirica, che percepiamo davanti ai nostri occhi, ma che esiste solo dentro di noi.
E’ questa la Terzigno al centro del mondo, la Terzigno della natura reinventata, la Terzigno di un’anima straordinariamente pulsante, a cui guarda costantemente l’arte di Emblema come a un terreno materiale e intellettuale a cui non si può rinunciare, fertile come i campi dei dintorni.
C’è una terza cosa, fra quelle che mi impressionano di Emblema, di cui devo ancora riferire: il museo. Emblema, artista del mondo, uomo di una Terzigno spirituale non meno che terrena, riconosciuto dalla comunità come perfetta personificazione del genius loci, si è fatto un museo nel suo paese. Potrebbe sembrare un gesto di superbia, un delirio da narciso, oppure quasi una imbalsamazione per assicurarsi una memoria come più può piacere.
Niente di tutto questo. Se si è riconosciuti in vita, se si è coscienti per quanto si è e si ottengono riconoscimenti dell’importanza del proprio ruolo all’interno della vita culturale e sociale, che soddisfazione ci sarebbe a essere celebrati da un museo non essendo in vita? La gloria dei postumi è piacere da necrofili, è più giusto e sensato godersela in vita, fra altri vivi, dimostrando di incidere nella vita vissuta degli altri. Il museo di Emblema è poi quanto di più lontano ci possa essere dall’imbalsamazione: è laboratorio attivo, dialogo continuo con chi lo visita, percorso aperto che “emblematizza” Emblema, sintetizzando le principali tappe della sua avventura artistica, ma che si offre sempre disponibile a nuovi sviluppi. Il museo è il modo per guardare a sé stessi, come uomini, come artisti, come membri di una comunità civile, uscendo dalla propria dimensione personale, rivelandosi compiutamente all’esterno, dichiarando, esibendo il risultato delle proprie fatiche, e nel mettere a disposizione le esperienze acquisite.
Il museo di un vivente non è un atto di vanità, è un atto di coraggio e di onestà, con sé stessi e con gli altri. E’ volontà di riabilitazione, individuale e di un’intera comunità che ha assistito anche per Terzigno al degrado della speculazione edilizia. Per meriti non trascurabili, in un’epoca come la nostra, dovremmo dare atto a Salvatore Emblema.
(Vittorio Sgarbi) |
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